Con la “sanatoria” immigrati primo passo per la legalità
di Karima Moual, da “Il Sole – 24 ore”, 22-07-2012
Emma Bonino, vicepresidente del Senato e storica esponente radicale, è da sempre attenta alle dinamiche profonde della società. E per questo sensibile al tema immigrazione. Anche nei risvolti economici che questo comporta. Risvolti fondamentali, come dimostra l’ultimo provvedimento sull’emersione dei lavoratori in nero (si veda II Sole 24 Ore del 18 luglio).
Per il nuovo decreto legislativo sull’immigrazione si è parlato di sanatoria. È così?
Chiamarla sanatoria è giuridicamente improprio. E per di più trasmette un messaggio non corretto. Si tratta piuttosto di un’emersione dal nero individuale. Tanto è vero che ci devono essere nome e cognome del datore di lavoro e del prestatore di lavoro. Se poi i numeri saranno molto grandi, questo è dovuto all’enorme illegalità precedente.
Non c’è il rischio che non si centri ancora una volta l’obiettivo di fondo, ristabilire legalità e diritti?
La mia preoccupazione è che i datori di lavoro italiani non colgano questa opportunità. Non si deve perdere questa ennesima occasione di legalità. Io avrei voluto molto di più: noi radicali abbiamo presentato 11 proposte in tema di immigrazione e questa è una delle nostre idee.
Teme che sia troppo poco?
Il mio appello è agli italiani: usate questa direttiva, perché la legalità conviene. So che magari molti penseranno che mille euro, più gli arretrati, sono troppi e che quindi proseguire in nero. Ma si deve capire che è un comportamento illegale e che bisogna mettersi in regola, anche per evitare di essere denunciati. Solo così il provvedimento potrà dare il meglio di sé evitando un conflitto tra datore e lavoratore.
Perché è cosi difficile toccare il tema immigrazione in Italia?
Veniamo da anni in cui la cultura vera era quella del “dagli all’immigrato”. È una reazione tipica di tutti i popoli, specialmente nei momenti critici dove è facile trovare il capro espiatorio. Peccato che tutti i dati economici dicano esattamente l’opposto: lo sanno tutti che senza immigrati si fermano i mercati generali di Milano. L’Italia e l’Europa hanno bisogno dell’immigrazione.
Il rischio è che, anche dopo l’ultimo provvedimento del Governo, resti molta illegalità. Ma questa non è una miopia politica?
Totalmente. Si preferisce il nero, l’illegalità. Si dice proibizione, ma in realtà si tollera il nero. Come si tollera sulla droga. La linea politica del proibire è la più facile da vendere, ma si sa che non funziona mai, perché tu proibisci l’aborto ma poi ce l’hai clandestino, la marijuana e poi ce l’hai clandestina. I fenomeni sociali, per una cultura liberale, vanno legalizzati e regolati in un quadro di diritti e doveri. Ma è chiaro che politicamente richiede maggiore sforzo. L’applicazione del proibizionismo è dunque la tolleranza del nero, questa è la verità. E sugli immigrati è successo uguale uguale. Diritti e doveri: può essere un’indicazione che vale più in generale per il fenomeno immigratorio. Un modello, anche se podi modelli di successo su questo fenomeno non ce ne sono in giro per il mondo. E il disegno complessivo che esce dalle nostre 11 proposte, ma in i sembra che se gli italiani cogliessero il beneficio di questa iniziativa sarebbe già una buona cosa. Serve però una campagna della stampa, perché la finestra per applicare le nuove norme è dal 15 settembre al 15 ottobre: date vicinissime, c’è il rischio che non lo saprà nessuno. Abbiamo bisogno di una campagna di stampa di pressione, di una vera e propria formazione degli italiani, per spiegare che far emergere questi lavoratori conviene, sia individualmente che al paese stesso. Se non ci sarà questa campagna di informazione, certamente il “trend di illegalità” degli italiani non cambierà.
Invece sarebbe utile, anche per permettere finalmente una maggiore integrazione.
Infatti, come integri un irregolare? Rimarrà senza diritti e doveri. Sottoposto a qualunque ricatto.
A proposito di ricatti, cosa pensa della possibilità per l’immigrato di denunciare?
Il vero passo lo devono fare gli italiani, l’immigrato irregolare è in una condizione di fragilità. Eppoi la denuncia dell’immigrato implica una tensione nei rapporti sociali. Tanto più che la direttiva italiana esclude che sia possibile farsi rappresentare da sindacati, cosa che la direttiva europea prevedeva. Il recepimento italiano è più restrittivo. In ogni caso, penso che l’immigrato sia troppo debole per denunciare. Eppoi come fa a lavorare con chi ha denunciato? Perciò faccio il mio appello agli italiani: legalizzate, vi conviene.
Resta però il problema che, soprattutto in questo momento di crisi, sono in molti a credere che mille euro all’Inps, più i contributi di sei mesi, siano una tassa eccessiva da pagare.
Credo che si possa pensare a una rateizzazione. Spero che i decreti interministeriali che debbono ancora uscire, abbiamo due correzioni: la rateizzazione, perché magari uno ne ha cinque di dipendenti; l’estensione del periodo perché, nella disinformazione totale, pochi saranno pronti il 15 settembre.
E per quelli che saranno tagliati fuori da questa regolarizzazione?
Intanto facciamo questo che sennò rischiamo anche di non farlo. La politica dell’immigrazione non ha soluzioni miracolistiche. Ci sono tanti settori che attendono risposte: una legge organica sul diritto d’asilo, il nodo della cittadinanza e poi ancora gli immigrati che arrivano e non hanno lavoro. Poi dobbiamo assolutamente togliere il reato di clandestinità: se una persona non ha i documenti è semmai un irregolare e non clandestino perché io lo vedo. Questi signori che sono irregolari li abbiamo fatti diventare dei criminali perché ci siamo inventati il reato di clandestinità. Ma noi dobbiamo toglierci dalla testa che esista una unica ricetta meticolosa.
Oggi ci sia già un clima diverso nell’approccio al tema. Sarebbe utile tentare di fare informazione anche agli stessi cittadini sulla buona immigrazione.
Serve tempo. Il governo ha fatto questo passo, la politica dovrà farne molti altri, ma anche i cittadini dovranno fare la loro parte. In una società ognuno deve fare la sua parte: i media, Confindustria, il sindacato, i cittadini. È una bella sfida, ma è ora di cominciare.
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