Gioventù negata. Storia di Enrico, un “incubo” tra droga e detenzione a soli 20 anni

Di Lucia Baistrocchi, da http://www.ilfioreuomosolidale.org 

Enrico, da poco quattordicenne, in seguito alla ennesima rapina subita da suoi coetanei, decide, durante una tormentata visita in caserma, di denunciare gli aggressori. “Mamma, mi hai insegnato che non si ruba”. Così giustifica a sua madre la sua difficile scelta. Maddalena immaginava che la vita in paese sarebbe diventata complicata dopo quella notte, ma non poteva sapere come davvero sarebbe andata.

Mesi dopo una tragedia cambia per sempre le loro vite. Il ragazzo denunciato, condannato per diversi reati e sotto l’effetto di droghe, si suicida. La violenza dei familiari si scatena contro Enrico e la madre che vengono più volte picchiati e insultati per strada. La loro vita diventa impossibile, andare a scuola, fare la spesa, sono attività pericolose. Enrico lascia la scuola, è disorientato, inizia a frequentare cattive compagnie, conosce la droga.

Suo padre, marinaio, spesso lontano da casa a causa del suo lavoro, intuisce che la situazione sta per precipitare. Cerca di allontanare la famiglia da un luogo divenuto ostile, si trasferiscono da Torre del Greco a Sabaudia ma Enrico non vuole separarsi dalla assistente sociale che lo ha preso in cura su ordine del Tribunale dei minori. Si allontana dalla famiglia e torna a vivere da solo nella casa natale, seguito dopo poco dalla madre. Ormai tossicodipendente, inizia a manifestare disturbi psichici e di comportamento. Diventa violento aggredendo i genitori, finché essi, disperati, lo denunciano per percosse e lesioni personali e per estorsione. Enrico è da poco maggiorenne e viene arrestato. Rito abbreviato, condanna a 18 mesi, scarcerazione e ritorno a casa. Riesce a disintossicarsi ma ormai la sua mente gli gioca brutti scherzi. Viene di nuovo arrestato per episodi di violenza contro le cose e le persone. 

Entra in una spirale senza fine, fatta di carcere, ospedale psichiatrico, trattamento sanitario obbligatorio. Viene affidato alla Comunità “Regina Pacis” di Cosenza ma chiede di tornare in prigione: non ritiene di dover partecipare a programmi di recupero per tossicodipendenti, in quanto non fa più uso di droghe. Lo mandano al carcere di Cosenza, poi conosce il carcere di massima sicurezza di Catanzaro, da dove  per comportamenti autolesivi è trasferito all’ Ospedale Psichiatrico Giudiziario Barcellona Pozzo di Gotto. Qui, anche in seguito alle cure ricevute, migliora: lavora, partecipa alle attività e collabora, viene dimesso.

I tempi della giustizia non coincidono con i tempi di Enrico che entra per la prima volta nel carcere di Napoli Poggioreale. Dopo un mese torna a casa, ma quasi subito è necessario ricorrere ad un ricovero coatto, e poi ancora ad un altro. La cura prosegue a domicilio, Enrico sta meglio, inizia a discutere con il padre sulla possibilità di iniziare una carriera da marinaio ma per l’avvenuto assommarsi delle condanne, viene riportato in prigione.

Nel carcere di Frosinone sembra riprendersi piuttosto bene: gli operatori riferiscono che ha intercorso buone relazioni con gli altri e che svolge le attività in maniera adeguata. La famiglia fa allora richiesta di “affidamento al lavoro”: il Giudice la accoglie, stabilendo che sia preso in cura anche dal Servizio Tossicodipendenze che però rifiuta la presa in carico in quanto Enrico non è più dipendente da droghe.

Tornato a casa ha un’ennesima crisi, con deliri, aggressività, violenza e allucinazioni: la mamma è costretta ad allontanarsi dalla sua abitazione temendo per se stessa e la figlia. Il padre e lo psichiatra riescono – somministrandogli di nascosto i farmaci – a ristabilire un equilibrio e a compensarlo. Ma per Enrico sfuma l’occasione, non riesce ad avere una regolare vita lavorativa, viene nuovamente arrestato e portato a Poggioreale.

Maddalena consegna al carcere la documentazione necessaria affinché suo figlio non interrompa la cura. Cosa che non accade. Enrico non viene seguito in maniera adeguata dallo psichiatra della struttura, né gli viene somministrato più alcun farmaco. Dopo circa tre settimane di detenzione, Maddalena viene a sapere dell’avvenuto trasferimento del figlio al carcere di massima sicurezza di Lecce. Né il carcere né il Tribunale le avevano dato comunicazione. Anche in questa struttura la richiesta di sostegno psicologico e psichiatrico non viene soddisfatta. A causa del sovraffollamento e della carenza di personale specializzato è impossibile per un detenuto con problemi di salute – gravi e accertati – essere sostenuto nel percorso di recupero, né può svolgere alcuna attività lavorativa all’interno del carcere, che potrebbe essere di supporto nel processo di riabilitazione e per un futuro reinserimento sociale.

Al momento in cui scriviamo Enrico, che ha da poco compiuto 24 anni, è stato appena trasferito al carcere Cotugno di Torino, istituto specializzato per i pazienti psichiatrici, ed in particolare per i pazienti con doppia diagnosi, cioè una situazione di co-morbilità tra malattia mentale e tossicodipendenza.

Maddalena da dieci anni vive in un incubo ma è una donna forte che non ha rinunciato alla speranza di poter recuperare suo figlio. E continua a lottare. “Insieme a mio marito lo abbiamo denunciato  sperando che lo Stato potesse aiutarlo ed aiutarci. Ma la risposta che abbiamo ricevuto è stata quella del carcere e della indifferenza. Enrico durante i colloqui mi descrive una situazione di degrado assoluto nelle prigioni dove è stato rinchiuso, tra sovraffollamento, mancanza di cure e violenza. Ho conosciuto i radicali dell’associazione “Per la Grande Napoli”, fuori il carcere di Poggioreale, avevo terminato una visita a mio figlio dopo una fila iniziata alle 4 del mattino.  Mi sono unita alla lotta per l’amnistia, perché credo che senza stabili programmi di trattamento integrato, il ciclo a cui è stato sottoposto Enrico potrebbe non avere mai fine. Ho deciso di raccontare la mia vicenda sperando di essere di aiuto per tutti coloro che vivono situazioni simili alla nostra.”

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=7497&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gioventu-negata-storia-di-enrico-un-%25e2%2580%259cincubo%25e2%2580%259d-tra-droga-e-detenzione-a-soli-20-anni

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