Caro Governo, ora “libera” i migranti!
di Valentina Ascione pubblicato su Gli Altri, 08/06/12
Sono stati anni orribili, questi ultimi, per migranti e nomadi in Italia. Anni dominati da sentimenti di diffidenza, intolleranza e odio razzista, che il governo di centro destra ha cavalcato – specialmente nella sua frangia leghista – cercando nella paura dei cittadini legittimazione per politiche securitarie e repressive. E sebbene oggi al Viminale non sieda più Roberto Maroni e la Lega viva un momento di grave crisi, non basta il generale mutamento di clima nel paese a garantire un cambio di passo e cancellare gli esiti di una così cattiva gestione dei fenomeni legati all’immigrazione. «Ogni giorno assistiamo a prese di posizione di esponenti politici e del governo che fanno ben sperare, ma se non si realizzano con azioni politiche, rischiano di restare opinioni personali. Il nuovo esecutivo ha promesso un cambiamento culturale, nei contenuti non c’è però ancora nulla di concreto», spiega Simone Sapienza, responsabile del gruppo immigrazione di Radicali Italiani, «Non servono buoni propositi su singoli temi, ma piuttosto una visione di insieme delle diverse questioni che compongono il fenomeno migratorio, tradotta in norme efficaci». Ecco perché Emma Bonino e il Partito Radicale hanno riunito tutte le maggiori istituzioni internazionali che operano ín Italia, dall’Alto commissariato Onu per i Rifugiati all’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), associazioni di immigrati ed esperti del settore, elaborando con loro dieci differenti proposte che verranno illustrate il 14 giugno prossimo al Senato in un grande convegno dal tito- lo: “Immigrazione: una sfida e una necessità – Proposte per un salto di qualità“, al quale prenderanno parte anche i ministri dell’Interno e della Cooperazione Internazionale, Annamaria Cancellieri e Andrea Riccardi.
L’obiettivo è trovare soluzioni rapide e incisive per i_ numerosi problemi sul tappeto, senza pensare a riforme epocali, ma attraverso anche provvedimenti amministrativi che questo governo potrebbe facilmente adottare nei pochi mesi che lo separano dalla scadenza della legislatura. E superare così le politiche precedenti che hanno visto l’immigrazione trattata come una questione di sicurezza e ordine pubblico e affrontata in una logica emergenziale. Una gestione che ha alzato muri e costruito ghetti. Ghetti etnici, come quelli dei campi rom, su cui si gioca la prima grande sfida dell’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, che ha varato un piano molto apprezzato in Europa, basato sulla scolarizzazione e l’inserimento lavorativo per uscire dalla logica dei campi. E che però proprio in queste settimane dovrà decidere sulla sorte del villaggio a La Barbuta, a Roma, ultimato grazie al ricorso dello stesso governo alla sentenza del Consiglio di Stato che aveva dichiarato illegittimo il decreto sullo stato di emergenza nomadi. «È il campo più grande voluto dal piano di emergenza, con tutte le caratteristiche della soluzione emergenziale: delocalizzato, dotato di videosorveglianza e destinato esclusivamente a persone di etnia rom», spiega Sapienza. Il governo si trova ora davanti a un bivio simbolico: aprirlo, come vorrebbe il Comune, ai soli rom, o convertirlo ad altri usi, come propongono i radicali.
«I costi di un piano casa per i nomadi sono di gran lunga inferiori a quelli di un campo attrezzato, dove mantenere una famiglia di cinque persone costa in media 100 mila curo l’anno», osserva Sapienza. Ghetti dispendiosi, dunque, come i Centri di Identificazione ed Espulsione seminati sul territorio nazionale: zone franche del diritto e simili, in alcuni casi a veri propri lager. L’Oim ha calcolato che il 60 per cento circa di coloro che vi risiedono sono ex detenuti, se dunque fossero identificati in carcere, non ci sarebbe bisogno di farli transitare dai Cie. Ciò eviterebbe loro un anno supplementare di detenzione e permetterebbe allo Stato di risparmiare milioni preziosi in tempi di crisi e di spending review. “Per rendere la detenzione amministrativa una soluzione residuale, basterebbe applicare una circolare del 2007 del ministro Amato che già aveva previsto l’espletamento nelle strutture penitenziarie delle procedure di identificazione dei migranti detenuti”, fa sapere Sapienza, e che è rimasta lettera morta, forse per non ledere gli interessi di chi ha in appalto la gestione dei centri.
Ci sono poi, oltre a quelli fisici, i ghetti della marginalità sociale e culturale. La paura dei lavoratori sfruttati, che tacciono per non essere espulsi da un paese, il nostro, che solo in rarissimi casi tutela chi con coraggio sceglie di denunciare la propria condizione. E l’isolamento delle donne che non lavorano e stanno a casa, dei bambini che non vanno a scuola e dei tanti, anche di seconda generazione, che hanno difficoltà a inserirsi perché ad esempio non conoscono bene la lingua. Alle scuole superiori i bocciati stranieri sono il 30 per cento, il doppio di quelli italiani (fonte rapporto Miur-Ismu) , e quasi tutti vanno a ingrossare le fila dei Neet (Not in Education, Employment or Training): giovani, cioè, che non studiano, che non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano. «Gli stranieri contribuiscono in maniera determinante al Pil di un paese, dunque l’integrazione è uno dei più importanti fattori di crescita. Eppure .spiega ancora l’esponente di Radicali Italiani – è una delle prime voci di spesa a subire tagli», accade così che circolari e direttive virtuose, che dispongono interventi a sostegno della scolarizzazione e della formazione degli stranieri, restino disattese a causa della mancanza di fondi. L’Italia stritolata dalla crisi non può però permettersi il peso dell’inattività di centinaia di migliaia di stranieri, che invece, quando occupati, partecipano in maniera sostanziale all’economia. Lasciarli indietro non conviene a nessuno, perché è proprio nell’emarginazione che si annidano i pericoli. Quello che serve, dunque, è una visione di insieme e Una distribuzione più attenta e responsabile delle risorse. E soprattutto serve coraggio, più di quanto questo governo ne abbia dimostrato finora, per liberare i migranti dai ghetti e farli diventare cittadini con diritti e doveri, come tutti gli altri. Uguali agli altri.
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