Processo Bassolino dalla clandestinità alla prescrizione
Di Dimitri Buffa, dal suo profilo facebook
Passando dalla clandestinità mediatica forzata alla prescrizione certa di tutti i reati a metà del 2013 (diciotto capi di imputazione se ne sono già andati a farsi benedire qualche settimana orsono), il processo ad Antonio Bassolino raggiungerà fra poco l’effetto più paradossale e allarmante della giustizia all’italiana: quello di non essere affatto uguale per tutti. Ma casomai di esserlo di più, Orwellianamente parlando, per i soliti noti. Il peccato originale del processo è stato quello di impedire, per pretesi e non meglio identificati “motivi di sicurezza”, a registratori, telecamere e radio, tra cui quella radicale, di assistere, riprendere e registrare le udienze e le varie fasi del processo. Da allora il cammino verso la prescrizione, calato a zero l’interesse dei media, è stato tutto in discesa. Solo saltuariamente qualche giornalista curioso, guardato pure male dall’apparato di quarantena che ha circondato l’aula bunker di Poggioreale, ha osato ogni tanto affacciarsi e dare conto in brevi cronache di quel che andava accadendo lontano, è il caso di dirlo, dagli sguardi indiscreti della pubblica opinione. Così quando due o tre settimane fa il “Fatto quotidiano” ha dato notizia della avvenuta prescrizione di diciotto dei capi di imputazione a carico dei protagonisti del processo Bassolino-Impregilo (il resto cadrà in prescrizione nella primavera del 2013 in pieno clima elettorale), solo Massimiliano Iervolino su Agenzia radicale ha ripreso la notizia. Che ha circolato quindi, e a gran fatica, esclusivamente su internet. Adesso magari a sinistra faranno finta di niente e per Bassolino ci sarà una gara a rinnegarne la conoscenza. Specie dopo che si sarà avvalso di quella “amnistia di classe”, così come Marco Pannella chiama la prescrizione, contrapposta a quella per legge che invece sarebbe tanto voluta e necessaria per risolvere in un solo colpo il problema di carceri non degne di un paese civile e un arretrato giudiziario che ogni anni ci costa qualche migliaio di condanne dall’Europa. Sullo sfondo rimarrà però il ricordo delle tre grandi crisi della “munnezza napoletana”, quella del 2001, quella del 2007 e quella del 2010. Tutte alla fine generate da quell’appalto stipulato con la Fisia Impregilo da Bassolino. Appalto che l’interessato disse di non aver mai letto. “Un ex commissario di Governo alquanto distratto – come ha scritto Iervolino su Agenzia radicale – visto che, davanti ai pubblici ministeri, rivelò di non ricordare neanche dell’autorizzazione firmata per la nascita del super consorzio Impregeco, quello del processo Cosentino, dove il carrozzone pubblico nacque dalla fusione dei consorzi di bacino Ce 4 (controllato dal centro destra) e da Na1 e Na 3 (controllati dal centro sinistra).”
Il paradosso, che non risparmia la gestione del centro destra della Regione Campania, ma che è del tutto focalizzato su quella da parte del centro sinistra, è che adesso per quei reati ambientali, per quel percolato che per mesi stava nelle copertine di tutti i Tg e che tanto ha contribuito al deterioramento dell’immagine italiana all’estero (non solo di Napoli), nessuno pagherà. Anche se dal processo Bassolino-Impregilo son emerse chiaramente le responsabilità politiche e anche penali degli imputati. E’ stato semplice far finire tutto in cavalleria: è bastato negare a Radio radicale la possibilità di registrare e trasmettere le udienze di questo processo. Ma questa è una responsabilità anche di parte della magistratura napoletana, non solo della politica.
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