Quei suicidi che pesano sulla politica

Il Mattino 26 aprile 2012

di Aldo Masullo

 

Vita morale, cioè umana, non potrebbe esserci se non vi fosse una pluralità d’individui, ognuno libero di fronte all’altro e tuttavia tutti in relazione tra loro.

Se io fossi solo con me stesso, a favore di chi, o contro chi io mi deciderei? Verso chi mi sentirei in dovere ? Se io sono libero, nessuno può avermi dato la mia libertà che, se mi fosse stata data e fosse così dipesa dall’altrui generosa decisione, libertà non sarebbe. Tuttavia, come questa mia non offertami ma originaria libertà si sarebbe per la prima volta potuta esercitare, svincolandosi dall’inerzia dei determinismi naturali, se la libertà d’altri, già attiva, non l’avesse provocata? L’attivarsi della mia libertà è la risposta al richiamo dell’altrui.

Eppure io intimamente sono solo, e ognuno lo è.

Qui sta la costitutiva, insopprimibile contraddizione dell’umano esistere, che è insieme relazione tra viventi e solitudine dei loro vissuti. Ne deriva l’angoscia che, per quanto mantenuta per lo più ai margini del campo della nostra coscienza quotidiana, non cessa mai di stare in agguato per morderci e divorarci l’anima.

Da questo punto di vista, si trova solo, disperatamente solo, non semplicemente il colpevole, soffocato dal rimorso, come Giuda, ma anche l’innocente, come Gesù, quando nel giardino degli ulivi, secondo la suggestiva evocazione di Rilke, esclama al suo Dio e padre: “Io non ti trovo più. Io sono solo». È vero, aggiunge il poeta, “tutti lasciano solo chi si perde”. Io direi piuttosto: essere lasciati soli è perdersi.

Questo pensavo questa mattina per l’ennesima volta, purtroppo per l’ennesima volta leggendo la notizia del suicidio di un imprenditore napoletano. Il sentimento che, fortissimo, ci scuote, dinanzi al suicidio, è singolarissimo, non è lo stesso che c’inquieta dinanzi ad altri tragici eventi.

In qualsiasi altro caso di morte, si assiste a una vicenda estrema: il relativo della vita (ero felice, ora sono infelice; sono ammalato ma guarirò, ecc.) viene distrutto dall’assoluto dell’irrevocabile nulla.

Ma il suicidio è l’atto con cui, a far vincere l’assoluto del nulla, è la volontà stessa del relativo.    È come se l’originaria contraddizione di relazione e solitudine lasciasse d’un tratto esplodere la sua distruttiva potenza.

Non possiamo allora frenare l’assillo dell’interrogazione.

Certo dinanzi alla privatissima solitudine dell’individuo, gridata dalla dolorosa assurdità del gesto, ci rendiamo conto della sua impenetrabilità e del pietoso rispetto dovutole. Tanto più però ci troviamo impegnati a interrogarci sul polo opposto della contraddizione, sul pubblico contesto, sulla complessa rete della relazione di cui quella solitudine è stata al centro, finendone soffocata.

In un articolo del 9 gennaio scorso, su questo giornale, denunciavo lo stillicidio quasi quotidiano dei suicidi di carcerati e carcerieri nelle nostre prigioni, e a questi aggiungevo i suicidi di piccoli imprenditori.

Della gravità di questi tragici fatti allora solo Marco Pannella sembrava accorgersi e gridava inascoltati allarmi.

D’altra parte ancora oggi ad accorgersi, almeno seriamente, cioè fattivamente, non sono molti di più.

Carcerati e ufficiali di custodia sono le vittime di una tormentosa violenza esercitata dallo Stato giustiziere su persone di cui esso, privandole della libertà in nome di un potere legale, ha assunto l’altrettanto legale responsabilità di proteggere la vita e la dignità.

I secondi sono le vittime di una schiacciante prepotenza dello Stato fiscale, che in nome della legge e con implacabilità esecutiva strappa il debito ai cittadini suoi creditori, guardandosi bene dal pagar loro il dovuto.

I suicidi esprimono l’impenetrabile solitudine dell’individuo, ma al tempo stesso inesorabilmente denunciano le azioni offensive e i vuoti di cura, in una parola l’indifferenza morale, con cui il corpo sociale tesse intorno ad ogni individuo la rete delle relazioni.

Dire l’indifferenza morale è segnalare una patologia civile e, in ultima analisi, un fallimento politico.

Giacomo Leopardi, in una pagina del 1820, scriveva: “La vita, l’azione, la pratica della morale, dipende dalla natura delle istituzioni sociali e dal reggimento della nazione… Parlate di morale quanto volete a un popolo mal governato: la morale è un detto e la politica un fatto: la vita domestica, la società privata, qualunque cosa umana prende la sua forma dalla natura generale dello stato pubblico di un popolo”.

Chi, fin dalla lettura del celebre saggio di fine Ottocento di Emile Durkheim, non sa che i suicidi aumentano nei periodi di forte disordine economico?  Tuttavia è inaccettabile, per il suo ingenuo cinismo, che un autorevolissimo governante non trovi miglior commento alla tragica frequenza se non l’osservare che il numero dei suicidi è, da noi, ancora poca cosa rispetto alla sventurata Grecia!

Il punto decisivo è che, a voler comprendere il senso forte dell’osservazione di Leopardi, lo spazio tra il “detto della morale” e il “fatto della politica”

va riempito con una parola, ostica ai più, che è “responsabilità”. La quale in verità non è solo una parola, un “detto”, un soffio di voce, e neppure solo un “fatto”, un gesto di potere. Essa piuttosto è l’azione, l’energia di un forte pensiero che, seppur nasce individuale, diviene collettivo, e si fa appunto lavoro durissimo, si fa politica, opera impegnata a rispondere alle drammatiche domande che da ogni parte si levano tra i cittadini, anche a quelle che i suicidi non sono riusciti a fare ascoltare.

Soltanto la responsabilità dell’azione politica può restituire all’individuo la sua fiducia nel mondo degli uomini.

Quando in una mente, soprattutto se giovane, di energia del credere non resta più nulla, allora la vita è finita.

Il 21 maggio 2010 un diciottenne veneto, suicida, lasciò scritto su Facebook: “Sono stanco di vivere. Non mi fido più di nessuno”.

In ultima analisi, della fiducia, che dà il coraggio di vivere, responsabile è la politica.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=6907&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quei-suicidi-che-pesano-sulla-politica

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