Marcia di speranza o di delusione?

di Gabriella Monteleone pubblicato su Europa, il 26/04/12

È andata bene, forse oltre ogni aspettativa la seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà indetta dai radicali per rispondere a quella «prepotente urgenza» della situazione delle carceri di cui parlò a luglio anche il presidente della Repubblica, che non a caso alla prima, nel 2005, partecipò. Subito dopo, nel 2006, il governo Prodi si assunse l’onere di dare una risposta alla già presente emergenza carceraria con un indulto che pagò poi molto caro in termini di consenso, anche se fu votato dai due terzi del parlamento, Pdl in testa.

Ma ora che succede? Difficile dirlo. Perché mai ora, dovremmo vedere apporre lo stesso numero di firme su un provvedimento che cancella anche il reato e non solo la pena? L’instancabile opera di sensibilizzazione di Pannella, Bonino e gli altri, nonostante il silenziatore mediatico, ha raccolto altre adesioni trasversali. Un lavorìo continuo e assordante che vorrebbe abbattere il muro innalzato da quei populismi di destra e di sinistra che si erano opposti perfino al decreto legge del ministro Severino che allargava le maglie per la concessione dei domiciliari, figuriamoci all’amnistia. Poi quelle maglie furono ristrette escludendone i recidivi (e infatti gli effetti deflattivi sul sovraffollamento al momento sono irrisori). Grazie a chi? A Idv, Lega e alla fronda Pdl guidata proprio da quell’ex guardasigilli Nitto Palma che ieri, però, marciava per l’amnistia. Eppure, uno sguardo meno distratto o superficiale alle politiche penali condotte nell’ultimo decennio e oltre, dovrebbe costringere tutti a correggere una rotta che ha portato le carceri italiane nello stato in cui si trovano, per cui «il nostro paese è in uno stato criminale di disfunzionamento» come dice Emma Bonino o semplicemente «criminale» per Marco Pannella. Si potrebbero certo correggere leggi inique ma il sistema, comunque, resterebbe ingolfato.
Perché non c’è solo un suicidio ogni cinque giorni nei penitenziari italiani, ma oltre trentamila detenuti sui quasi 67mila presenti sono in attesa di giudizio. E abbiamo il “primato” del paese con il maggior numero di sentenze della Corte Ue per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate per l’irragionevole durata dei processi: insomma stiamo peggio di Turchia, Russia, Polonia e Ucraina. A questo, prima o poi, occorrerà provvedere senza continuare a girare la testa dall’altra parte. Si può immaginare un’iniziativa di Napolitano? Bobo Craxi, ieri, si è rivolto a lui in vista della conclusione del settennato. I radicali e una rete ampia e trasversale di associazioni, deputati senatori e consiglieri comunali e regionali, e tante personalità la sosterrebbero certi che solo un provvedimento di indulgenza possa far ripartire la macchina della giustizia.
Ieri, alla marcia che ha attraversato il centro di Roma, erano in tanti, «migliaia, molti più del previsto» dice soddisfatto Marco Staderini, segretario dei radicali italiani, sottolineando che «l’amnistia non è un atto di clemenza, ma il primo patto per una riforma della giustizia». Tante bandiere, tante facce più o meno note, alcune tristemente note come Lucia Uva, Domenica Ferrulli o Ilaria Cucchi. È stato «il miglior modo per onorare la Festa della liberazione» per Sandro Gozi che, da responsabile delle politiche Ue del Pd (ma anche altri esponenti dem erano presenti), conosce bene le pluricondanne europee inflitte al nostro paese per una giustizia che «è ingiusta con i deboli e impotente con i potenti» dice.
È dimostrato che un detenuto su tre è dentro per la Fini-Giovanardi; che oltre 24mila detenuti grazie alla Bossi-Fini sono stranieri. Ma di cancellarle o modificarle neppure se ne parla.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=6836&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=marcia-di-speranza-o-di-delusione

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