Libri chiusi azzittiti dall’ignoranza (Il monastero di Corte Lepia – Lavagno, VR)
I finanziamenti alla cultura sono bloccati. E questo porterà sempre più al “crollo” dei libri. Non solo quelli di carta, utilizzati per lo studio ma anche di tutti quei “libri chiusi” che si trovano sul nostro territorio nazionale. Cioè? Per “libro chiuso” intendo quei meravigliosi ruderi in parte in rovina o demoliti, che rimangono in piedi quasi volessero raccontare fino all’ultimo la loro storia. Non demordono, prima di esalare l’ultimo respiro che sa di secoli. Nello specifico andiamo nel veronese, Comune di Lavagno, dove un ex convento di suore di clausura rischia di sparire per sempre: il monastero di Corte Lepia.
Specifico meglio il caso che voglio portare alla vostra attenzione.
Siamo appunto in località Lepia, a sud della strada regionale 11 – l’antica via Postumia.
Nell’area di nostro interesse sono presenti tre elementi che documentano l’importanza storica del luogo:
- la presenza, in prossimità dell’ ex convento, di un insediamento che in età protostorica (dai reperti che sono stati trovati l’insediamento si è datato al Bronzo Recente) era situato nell’altura semicircolare nell’area dove attualmente sono presenti alcuni campi coltivati;
- la presenza della strada romana che collegava la via Postumia con la via Emilia-Altinate, la cosiddetta Porcilana (che deriva dall’antico nome attribuito al comune di Belfiore nel 1867. Appunto Porcile) o “Imperiale” (da fonti medievali);
- il Convento.
Quest’ultimo può apparire, a un occhio poco allenato, come un’architettura di poco interesse ormai avviluppata da una folta vegetazione. Al contrario presenta numerose prove di interesse storico, archeologico, architettonico e artistico. Le prime fonti risalgono al 996 d.C. e riguarda una sentenza imperiale sull’appezzamento di terra che allora era di proprietà della famiglia Avogadro. Altra fonte interessante deriva da un documento sul quale si nota come un componente di questa famiglia, il notabile veronese Bòzolo degli Avvocati, nel 1176 concesse chiesa e terreno a due persone: Gemma e Realda. Queste due sorelle possiamo dire che decisero il futuro dell’intero complesso. Si votarono alla regola di San Benedetto costituendo così un monastero di clausura, mettendosi sotto la diretta protezione del Papa (Urbano III) il quale, il 2 novembre 1186, consacrò proprio quella chiesa, di San Giuliano. Non dura molto, perché l’intero complesso viene chiuso da Papa Eugenio IV nel 1411. Cosa accadde? La regola imposta da Gemma e Realda prevedeva la totale adempienza ai tre voti perpetui: castità, povertà e ovviamente l’obbedienza al potere papale. Molte, tuttavia, furono le prove che documentarono l’ inosservanza dei voti di povertà e soprattutto castità. Infatti furono raccolte varie testimonianze su situazioni di promiscuità tra le monache e i contadini che conducevano i loro fondi. Una situazione che creò non poco scompiglio ed imbarazzo tra i fedeli del posto. Il vescovo, raccolte le prove, si rivolse a papa Eugenio IV, che sancì la chiusura della struttura e la soppressione dell’ordine femminile. Molte suore lasciarono il convento e si ritirarono a Santa Giustina a Padova. Ma nel 1646, nonostante quanto accaduto in passato, Papa Innocenzo X, a seguito del ritorno di molte suore nel convento incriminato già nel 1447, concedette l’indulgenza plenaria alla chiesa di San Giuliano. La chiusura definitiva avverrà nel 1771 con la Repubblica di Venezia (fonte: La Veja).
Con questa rapida carrellata di informazioni abbiamo “letto” questo libro chiuso. Basterà entrare nella struttura inoltre per rendersi conto che al suo interno sono presenti affreschi ed altari soggetti a degrado e ad atti di vandalismo. La struttura è stata anche teatro di un’operazione di polizia contro lo spaccio di stupefacenti (ricordiamo che se fosse regolamentato il commercio di stupefacenti, porteremmo in luce quel mercato nero che si estende ovunque, non solo nei parchi o dietro gli angoli delle scuole ma anche in ruderi che, anziché essere definiti beni culturali, diventano i retroscena di problematiche sociali gravi come quello della droga).
Ci sarebbe molto altro da dire. Per ora mi limito ad accennare questa problematica per render noto ai veronesi che parte della nostra storia (libri chiusi e muti) sta svanendo proprio perché non li sappiamo far parlare. Dobbiamo dar loro voce denunciando! Non bisogna perdere di vista il punto fondamentale della questione: tuteliamo questo bene! Il territorio adiacente all’ex monastero è stato perso senza prendere in considerazione alcuna tutela paesaggistica. Vogliamo lasciar decadere questa bellissima testimonianza storica come sta capitando per molte altre, oppure ci rimbocchiamo le maniche e valorizziamo tutti quei beni “minori” che sono sparsi sul territorio nazionale e che tutti ci invidiano?
Dott. Gregorio Oxilia

- Login to post comments