Quei contributi “silenti”, cioè senza pensione
di Rosaria Talarico, da “La stampa”, 02/04/12
Sono silenti, proprio come la gran parte delle persone che non potranno riscuoterli. Categorie deboli che non finiscono sui giornali. Parliamo dei contributi silenti, cioè dei versamenti previdenziali che il lavoratore effettua durante la propria vita lavorativa e che però non danno diritto ad una pensione. Il problema nasce dal fatto che la legge prevede un limite minimo di contribuzione per poter accedere ad un trattamento previdenziale. E non si tratta di pochi casi isolati, dal momento che ormai la platea degli interessati si è notevolmente ampliata, arrivando a coinvolgere praticamente quasi tutti i lavoratori, con la riforma delle pensioni e l’introduzione erga omnes del sistema contributivo. È il caso, per esempio, di coloro che hanno perso il lavoro non riuscendo poi a ricollocarsi sul mercato per ragioni anagrafiche o altro. Oppure di molte casalinghe di ritorno che hanno interrotto l’attività lavorativa per badare ai figli o agli anziani. O ancora di chi in seguito alla crisi è stato costretto ad accettare un lavoro in nero.
L’allarme è stato lanciato dall’Ancot, l’Associazione dei consulenti tributari proprio ai problemi relativi alla gestione previdenziale (e in particolar modo ai contributi silenti) ha dedicato uno studio. «Presenteremo la nostra analisi che racconta l’evoluzione della gestione sperata nel nostro Paese – ha spiegato il presidente, di Ancot Arvedo Marinelli – nata come un sistema che doveva assicurare un trattamento previdenziale a chi non ha una cassa di riferimento, mentre nel corso degli anni questo progetto è stato snaturato diventando addirittura vessatorio per i lavoratori stessi». E vediamo come. Le categorie meno tutelate come i parasubordinati, i precari e chi esercita professioni non regolate da ordini professionali versano i contributi previdenziali alla gestione separata dell’Inps. Quel che non si sa è che il versamento è a fondo perduto. Cioè se non si raggiunge il minimo richiesto dalla legge per maturare la pensione (il che accade sempre più spesso, dati i lunghi periodi di disoccupazione o lavoro nero), quei contributi saranno persi per il lavoratore e verranno usati per pagare le pensioni di altri. È come se un povero si mettesse a fare della beneficenza. Nel caso poi si maturasse il minimo contributivo previsto, la pensione ottenuta non supererebbe le cifre misere dell’assegno sociale. Secondo le stime dei Radicali italiani, unico partito ad aver mostrato sensibilità su questo tema, la gestione separata dell’Inps ogni anno incassa 8 miliardi di euro di contributi, ma ne restituisce sotto forma di prestazioni pensionistiche solo 300 milioni. «Anche quest’anno abbiamo deciso di sostenere le azioni di sensibilizzazione che i Radicali italiani insieme ad altre associazioni hanno deciso di attuare nei confronti delle istituzioni» ha aggiunto Marinelli.
I parlamentari radicali hanno infatti presentato una proposta di legge («Delega al governo per l’introduzione di una disciplina in materia di restituzione dei contributi previdenziali che non danno luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico») che si pone proprio l’obiettivo di sovvertire la tendenza dello Stato italiano Robin Hood alla rovescia: toglie a chi sta peggio per dare a chi sta meglio.
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