Che bella l’amnistia!
di Valentina Ascione, da ” Gli Altri”, il 30/03/12
Sono trascorsi sette anni dalla Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà che vide centinaia di persone sfilare a Roma davanti alle sedi delle massime istituzioni della Repubblica, al purgatorio penale di Regina Coeli, tra i simboli dell’emergenza carceraria, per poi concludere il proprio cammino al Quirinale: residenza del garante dei princìpi costituzionali così apertamente calpestati nelle nostre galere, dove allora se ne stavano ammassati circa 60mila detenuti in spazi sufficienti per appena 42mila. Era il 2005 e in testa al corteo si potevano riconoscere volti tra i più popolari della politica e delle istituzioni accanto ai radicali Pannella e Bonino, capifila dei promotori. Con quell’iniziativa si intendeva sollevare l’attenzione sulla disastrosa condizione delle carceri e dell’amministrazione della giustizia: «la più grande questione sociale del nostro Paese», si disse. Da allora nessun passo in avanti è stato fatto. L’indulto varato l’anno successivo, senza il supporto di un provvedimento contestuale di amnistia, ha visto vanificati i suoi effetti benefici. E nel corso degli anni la situazione si è dunque ulteriormente aggravata. Ecco perché nel mese di Aprile ci si rimetterà in marcia per le medesime ragioni e con gli stessi obiettivi.
Le nostre prigioni da Terzo Mondo che scoppiano per la pressione del sovraffollamento – che oggi sfiora il tasso del 150 per cento – costituiscono la naturale appendice di una crisi, quella della giustizia, drammaticamente degenerata in cancro. Un cancro che anno dopo anno si è esteso divorando gli ingranaggi di questa macchina ormai ferma, bloccata, schiacciata dal peso di milioni di processi pendenti: quasi 10 tra civili e penali. Si calcola che le sole pratiche relative all’arretrato della giustizia civile occuperebbero una superficie pari a 74 campi di calcio. Un ritardo che scoraggia gli investimenti, ostacola la ripresa economica e che, secondo le stime della Banca d’Italia, ci costa ogni anno un punto percentuale di Pil. E il conto delle pendenze nella giustizia penale è altrettanto salato. Se infatti per arrivare alla fine di una causa civile ci vogliono in media 2645 giorni, ovvero sette anni e tre mesi, una volta nel tunnel di un processo penale non s’intravede la luce prima di quattro anni e nove mesi: ben 1753 giorni. Tempi inaccettabili, che si riflettono nel numero abnorme dei detenuti in attesa di giudizio che si aggira intorno al 42 per cento delle 66mila persone attualmente recluse negli istituti di pena del paese: un’anomalia tutta italiana – come ha dovuto riconoscere lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino – ma soprattutto una violazione manifesta dei diritti umani che non può passare indenne al vaglio degli organismi internazionali di garanzia. Come emerge con spietata chiarezza dal resoconto delle violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo accertate dalla Corte, che vedono l’Italia al secondo posto su 47 paesi membri del Consiglio d’Europa, dopo la Turchia e prima della Russia, con 2166 ricorsi, ma sul gradino più alto del podio per numero di condanne subite a causa dell’eccessiva durata dei processi: 1155 fino allo scorso anno. Numeri che sulla carta fanno impallidire, ma che nella vita dell’Italia e degli italiani affondano come una lama nella carne viva, tratteggiando il profilo di uno Stato “criminale” più che diritto.
Sono decine di milioni, si stima addirittura il 30 per cento della popolazione, coloro che nel nostro paese attendono la decisione di un giudice. Milioni di vite, tra accusati, presunte vittime e loro familiari, tenute in ostaggio per anni e anni da una giustizia lumaca. Ed è proprio il paradosso di uno Stato manchevole, inadempiente, incapace di rispettare le sue stesse leggi, uno Stato che si pone di fronte ai propri cittadini nella posizione di “delinquente abituale”, che non solo legittima, ma fortifica la proposta dei radicali di un’amnistia come atto di governo e non di clemenza. Il solo strumento tecnico, previsto dalla Costituzione, in grado di riportare la Giustizia italiana nel perimetro della legalità. Di decongestionare carceri nelle quali i detenuti, sottoposti a condizioni di vita degradanti, si ammalano da giovani e muoiono, si fanno del male o si uccidono. O si appellano agli strumenti di tutela internazionali contro un trattamento che dovrebbe essere rieducativo e si configura invece, sempre più, come “tortura legalizzata”. Il solo strumento, l’amnistia, per restituire dignità al lavoro del personale e a tutte le componenti della comunità penitenziaria; sollevare subito i magistrati dal fardello dei processi arretrati. E sconfiggere l’amnistia di fatto e di classe della prescrizione che ogni anno vede andare in fumo circa 170mila procedimenti, 500 al giorno, a vantaggio esclusivo di chi può contare su una brillante assistenza legale. E costosa.
Nessuno dei provvedimenti messi in campo finora permetterà allo stesso modo di sbloccare e riavviare la macchina della Giustizia. Non le leggi che si propongono di vuotare il mare con il cucchiaino, né la riapertura di istituti chiusi da tempo o un piano di edilizia penitenziaria che rischierebbe di divenire banchetto per affamati cacciatori di appalti, mentre reparti o intere strutture restano inutilizzate per carenza di personale. Costruire nuove carceri per far spazio ai detenuti di oggi e a quelli che verranno significherebbe, in un contesto nel quale la popolazione reclusa si compone per lo più di poveri e tossicodipendenti, continuare a investire sulla logica della carcerazione come principale risposta al disagio sociale: la logica che ha fatto da stella polare alle politiche securitarie attuate negli anni precedenti e a una forma esasperata di panpenalismo.
L’emergenza in corso richiede, invece, una drastica inversione di rotta. Il potenziamento delle pene alternative al carcere, cui le statistiche sulla recidiva attribuiscono risultati di gran lunga migliori rispetto alla detenzione. E un piano di incisiva depenalizzazione. Sono queste le misure che dovrebbero seguire a un’amnistia per aprire finalmente la strada a una riforma strutturale della giustizia. Per tornare a uno Stato di diritto.
- Login to post comments