Strasburgo condanna l'Italia: reiterata violazione dei diritti umani
Nell'ottica di vedersi riconosciuto un primato europeo assoluto ci sarebbe da esser contenti; purtroppo quando il primato si registra sulla poco edificante, e reiterata, violazione della Convenzione europea dei Diritti Umani la questione si fa seria, serissima, per lo Stato di Diritto italiano. Come denunciato dalla deputata radicale Rita Bernardini, “dal 1959 al 2010 la Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) ha condannato l'Italia 2121 volte per violazione della Convenzione”: un secondo posto, dietro la Turchia, che si trasforma in medaglia d'oro “se consideriamo i giudizi per l'irragionevole durata dei processi” con 1139 violazioni. La vergogna di aver conseguito tali risultati è tutta italiana, resa insopportabile dalla recidiva con la quale il Belpaese (non così tanto bello) reitera tali violazioni, dal 1959 ad oggi ininterrottamente, criminosamente: il nostro Paese, ridotto ad “osservato speciale il quale, nel corso dei decenni, non ha dimostrato il minimo segnale di ravvedimento o di impercettibile miglioramento, di controtendenza”; peggio di quei criminali psichiatrici per i quali la pena è l'oblio e la dimenticanza, peggio di quei criminali comuni che vengono puniti con la detenzione in luoghi vergognosamente ameni, lo Stato è da decenni il criminale peggiore, quello che continua “in flagranza di reato” a delinquere. La questione, divenuta di “prepotente urgenza” secondo persino il Presidente della Repubblica, si trascina da troppo tempo: nei primi '80 le prime constatazioni per l'eccessiva durata dei processi, nei '90 i “seri problemi strutturali nel funzionamento del sistema giudiziario italiano” denunciati dalla Cedu, gli ammonimenti, più o meno pesanti, perché tali ritardi nell'amministrazione della giustizia (scritto volutamente minuscolo) “costituiscono un pericolo in particolare per lo stato di diritto”, la richiesta di una urgente riforma della giustizia formulata dall'Europa nel 2000, i continui richiami che, nel 2009, diventano un comando: “una soluzione definitiva al problema strutturale della durata delle procedure deve essere trovata”. “Deve” non “può”, non “dovrebbe”, non “potrebbe” e nemmeno “dovrà”: “deve”, imperativo categorico kantiano. Nel 2010 il “grave pericolo per lo Stato di Diritto” incarnato nella “negazione dei diritti sanciti dalla Convenzione” diventa la scure definitiva, senza tuttavia tramutarsi in molla per una vera riforma della giustizia (che tutti i governi di destra e sinistra alternatisi nella seconda Repubblica di Bananas hanno messo nei loro programmi elettorali per non realizzarli mai, anzi complicando il quadro normativo e legislativo). Un problema aggravato dall'”amnistia strisciante e perniciosa delle oltre 150000 prescrizioni annuali di procedimenti penali”, ma anche dal silenzio assordante che la classe politica non può più permettersi senza perdere continuamente di credibilità: un silenzio che uccide, perchè infranto solo dalle sterili polemiche sulle “eredità dei governi precedenti”, sulla discussione ad personam in merito alla prescrizione del processo Mills, sulla “resa dello Stato” nell'applicare l'articolo 79 della sua Costituzione, che prevede l'amnistia, quella vera, quella per le persone. Persone private di libertà prima del riconoscimento degli errori commessi, ma sopratutto private dei Diritti Umani che il carceriere avrebbe sottoscritto con gli altri 47 Stati dell'Unione. ANDREA SPINELLI BARRILE Twitter @spinellibarrile agenziaradicale.com
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