Tunisia, i 3300 libici disperati del campo profughi
di Roberta Zunini pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 20/03/12
Chi non ricorda le immagini di composta disperazione dei profughi di colore che, ammassati sulla frontiera tra Libia e Tunisia aspettavano, affamati e disidratati, l’apertura di un varco oltre confine? Si trattava per loro di una questione di vita o di morte: non dovevano sfuggire solo ai bombardamenti dei lealisti di Gheddatì ma anche evitare le rappresaglie degli insorti contro i miliziani centroafricani ingaggiati dal defunto colonnello per difenderlo: chi aveva la pelle nera rischiava di essere scambiato per uno di loro e giustiziato.
Un anno fa la guerra civile infuriava nello “scatolone di sabbia” e alla fine i profughi, soprattutto immigrati che lavoravano in Libia in condizioni di semi schiavitù, trovarono riparo nel campo tunisino di Shousha a 9 chilometri dalla Libia. Il campo fu allestito in fretta e furia dall’Alto commissariato per i Rifugiati della Nazioni unite e venne aperto il 24 febbraio. Ad oggi ci vivono ancora 3300 persone di diverse nazionalità: eritrei, sudanesi, ciadiani, iracheni, palestinesi e nigeriani. E molti di loro sono stati respinti dall’Italia, già condannata dalla Corte europea di Strasburgo. Le condizioni igieniche, alimentari e di sicurezza di Shousha sembrano peggiorare ogni giorno di più, almeno a quanto si evince dall’inchiesta filmata pubblicata sul sito di giornalismo partecipativo FaiNotizia.it di Radio Radicale.
Nel cortometraggio ci sono immagini relative alle condizioni generali del campo, ma si dà anche spazio alle denunce relative all’operato dell’Alto commissariato che avrebbe violato la privacy di alcuni ospiti, la maggior parte nigeriani, permettendo alle autorifà del gigante centroafricano di venire a conoscenza di dati sensibili per l’incolumità dei rifugiati. Molti erano scappati proprio per evitare le persecuzioni dei regimi che opprimono i loro Paesi. Violazioni smentite da Rocco Nuri, funzionario dell’Onu e responsabile del campo: “Non siamo a conoscenza della visita di alcun ambasciatore nigeriano a Shousha. nostri dossier sono sempre segreti e restano tali anche in caso di diniego”. Nuri invece ha confermato i tempi di attesa per ottenere l’asilo. “Tra il colloquio e il riconoscimento dello status passano in media sei mesi”.
L’Italia è uno dei Paesi donatori del campo e per questo i senatori Emma Bonino e Marco Perduca hanno presentato al ministro degli esteri un’interrogazione. Nel testo si legge: “Il 22 maggio 2011, per citare solo uno degli episodi più gravi, il campo fu incendiato, e quattro persone persero la vita mentre l’esercito tunisino, intervenuto per sedare le proteste, sparò sulla folla. I pochi fuggiaschi che riescono a ottenere lo status di rifugiati, dopo attese che si aggirano intorno agli 8 mesi, spesso restano per un periodo di tempo indefinito a Shousha in attesa di un trasferimento dal Paese di prima ospitalità a un altro Stato che accetti di accoglierli. I senatori chiedono pertanto al ministro Terzi se “sia a conoscenza dei fatti riportati dal documentario” e chiedono “a quanto ammonti il contributo italiano al campo Shousha e quali ospiti di Shousha abbiano fatto richiesta di protezione all’Italia e quanti di essi abbiano ottenuto la possibilità di essere trasferiti nel nostro Paese”. Anche Shousha, come molti altri sparsi nel mondo, si è trasformato da un campo di transizione a un limbo permanente.
- Login to post comments