Napoli dedica un vicolo a Enzo Tortora. Un modo per lavarsi la coscienza?
di Fabrizio Ferrante, da www.epressonline.org, 18-03-2012
Dallo scorso 15 marzo, la “seconda traversa Consalvo”, sita a Napoli nel quartiere Fuorigrotta è intestata all’ex conduttore tv e presidente del Partito Radicale, Enzo Tortora. Tutto bene? Forse, almeno per una giunta comunale convinta di aver sanato con tale atto, l’enorme debito che la città di Napoli porta con sè nei confronti di un uomo perbene, vittima della malagiustizia.
Napoli è da sempre una città particolarmente avara di riconoscimenti verso le grandi personalità, che ne hanno onorato l’immagine nel mondo. In qualunque altra città, si sprecherebbero monumenti e strade, dedicate a miti come Totò, Eduardo, Massimo Troisi, finanche Maradona, ma la toponomastica cittadina a Napoli, pare rispondere ad altre logiche. Nel caso di Enzo Tortora, non solo si è provveduto a onorarne la memoria con decine di anni di ritardo, ma la via scelta è assimilabile a un “vicolo stretto” del Monopoli. Insomma, era meglio proseguire in scia a un oblio senza fine, piuttosto che coprirsi di ridicolo con un’iniziativa quasi offensiva.
A pensarla così sono i radicali napoletani, ovvero i militanti dell’associazione radicale Per la grande Napoli, che alla vigilia della cerimonia – cui hanno preso parte tra gli altri, l’assessore alla Toponomastica, Alberto Lucarelli insieme agli attori Ricky Tognazzi e Simona Izzo, che stanno preparando una fiction su Tortora – hanno diramato un duro comunicato su internet che recitava testualmente: “Due anni fa, grazie alla iniziativa di alcuni consiglieri del Comune di Napoli, sostenuta da un gruppo facebook molto attivo, l’Amministrazione comunale decise di dare il nome di Enzo Tortora ad una strada della città. Leggo che domattina ci sarà la cerimonia per intestargli un vicoletto a Fuorigrotta. Dovrebbero vergognarsi. Questo non riparerà l’enorme debito che Napoli ha nei confronti dell’ex presidente del Partito Radicale”.
Presente alla celebrazione, anche l’ex compagna di Tortora, l’onorevole Francesca Scopelliti – Fli – che ha accolto con favore l’iniziativa della giunta partenopea: “Ringrazio il sindaco de Magistris perché oggi sono venuta a Napoli con Enzo dopo 28 anni. Tante città portano il suo nome, ma qui ha un significato particolare perché il suo papà era partenopeo e lui ripeteva sempre che aveva tratto dal genitore lo spirito vivace e brioso dei napoletani». Certo, qui ha un significato particolare, anche perché fu proprio Napoli la città da cui partì il calvario di un uomo, che per sua stessa ammissione pagò con l’insorgere di un cancro mortale, la propria disavventura giudiziaria. Così Marco Pannella (nella foto a destra, datata 1986) ricordando la triste fine del Compagno Tortora:”Quando Enzo Tortora diceva: mi hanno fatto esplodere dentro una bomba, e l’ha detto anche pubblicamente, intendeva dire che il tumore che gli era scoppiato dentro era il frutto della lacerazione dello strazio di immagine, di informazione e di identità, del massacro di verità di ogni giorno da parte dell’ordine giudiziario e di quello giornalistico costantemente, ebbene lui ha detto una verità che oggi la scienza assolutamente convalida. Il giorno in cui, come sta accadendo in questo momento a noi, si tenta di straziare l’identità, l’immagine, si tenta il genocidio politico e culturale di un movimento o del diritto in Italia, ebbene: questi ormai non possono più dire di non sapere che la scienza assicura che Enzo aveva ragione: era assassinato”.
I guai di Tortora furono di natura innanzitutto politica, allorquando negli anni ’70, egli ospitava i militanti divorzisti e si avvicinò al partito Radicale, pagando in prima persona tali posizioni, dapprima con ostracismi in campo professionale. La mazzata, fu poi data dalle accuse infamanti e prive di ogni riscontro, mossegli contro nel 1983 da Giovanni Pandico, ex braccio destro di Raffaele Cutolo. Al quinto di diciotto interrogatori, Pandico “si ricordò″ che Tortora fosse un camorrista, implicato nello spaccio di droga e in tutta una serie di reati gravissimi che per anni infamarono la sua immagine. “Un cinico mercante di morte”, così lo definì il Pm Diego Marmo, smentito poi dai fatti e dalle sentenze che hanno rivelato come Tortora fosse stato oggetto di calunnie. La vicenda fu centrale anche per l’indizione e la vittoria del referendum sulla responsabilità civile dei giudici, il cosiddetto “referendum Tortora”, su cui Pannella dichiarò: ” “La parola definitiva non si potrà mai dire. Noi vincemmo con un referendum, che chiamammo referendum Tortora, quel referendum di civiltà per dare, conferire al magistrato il diritto alla sua responsabilità civile. A non essere al di sopra, e quindi al di sotto, delle leggi. Gli italiani allora ci dettero ragione; poi ci fu il tradimento del Governo, del Parlamento e dei partiti per i quali da allora non è più esistito un solo caso di responsabilità civile di magistrati in Italia acclarati puniti e sanzionati”.
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