Lettera a Palazzo Chigi

di Laura Arconti, da “Notizie Radicali”, 13-03-2012

Caro Presidente Monti, perdoni se ho scritto “caro”: so che questa familiarità non si accorda col rispetto che le è dovuto, ma confido nella sua comprensione, perché ho almeno un paio di scusanti. Prima di tutto sono molto più anziana di lei, anzi sono decisamente vecchia, e ai miei tempi (sono nata nel 1925) i vecchi erano molto rispettati. Non dico con questo di sentirmi rispettabile quanto Lei, ma mi avvicino molto, mi creda.

Il secondo motivo che mi giustifica ha nome verità. Perché è proprio vero che lei mi è caro, professor Monti: lei impersona il più improbabile, il più impossibile dei sogni che nutrivo da anni, ed è arrivato proprio ora, prima che fosse troppo tardi per la mia attesa.

Leggo che l’“Economist”, l’autorevole e sussiegoso settimanale del giovedì, il primo marzo ha abbandonato il riserbo british ancora una volta, scegliendo un titolo a doppio senso: «The party’s over». A Londra si ritiene che il suo governo si distacchi nettamente non soltanto da quello precedente (di cui l’Economist non aveva avuto pietà, ed a ragione) ma anche «dalla maggior parte dei governi a partire dalla metà degli anni 90».

Io l’ho saputo dal “Corriere della Sera”, e spero che la traduzione sia corretta: debbo fidarmi perché il mio inglese è miserando, avendolo io studiato a scuola in Italia, e la Scuola italiana, si sa…ma questo è un altro discorso, magari lo affronteremo un’altra volta.
Sempre secondo il “Corsera”, l’“Economist” ha scritto che l’approccio «manageriale» imposto all’attività di governo, è stato per gli italiani «una rivelazione». Per me no, caro Presidente professor Monti: non per me. Da anni io sognavo a capo del governo una persona capace nel senso reale della parola: uno che sa fare le cose, non uno capace di tutto pur di compiacere la voracità di alcuni gruppi di connazionali. E -se lei mi permette di precisare- lo aspettavo non soltanto dalla metà degli anni novanta, perché quelli come me ed io stessa (i Radicali, per intenderci) abbiamo ben studiato Cronaca e Storia e siamo convinti che quel minestrone di inadeguatezza e presunzione che si manifesta come il governo dei partiti (la partitocrazia, appunto) risalga ad anni ben più antichi.

L’“Economist” ha lasciato intendere di ritenere che l’era dei partiti, così come essi sono, sia tramontata: gran bel tramonto! Rosso come il calar del sole dietro i Monti… chiedo scusa, intendevo dietro le cime delle Dolomiti. E dopo questa fine ingloriosa (io rincorro di nuovo un sogno impossibile) chissà che agli italiani, anche a quel 30% disgustato e deluso che di politici non ne vuol più sapere, non venga consentito di votare per quel gruppo di visionari coi piedi per terra che si fa chiamare “Radicali”.

Certo, perché ciò accada, lei dovrà dare una bella ripulita ai mezzi di informazione – quelli di carta e quelli che cavano gli occhi col baluginìo delle luci e dei colori – togliendoli dalle mani di gente che da troppi decenni fa il bello ed il cattivo tempo: e stabilendo regole ben precise per l’esecuzione del difficile compito di informare il pubblico.

Non tante regole, per carità, in questo benedetto Paese in cui si sente il bisogno di fare leggi a getto continuo, tanto che una persona onesta troverebbe più semplice l’elenco delle pochissime cose che si possono ancora fare liberamente, elenco pertanto molto breve. Non tante regole. Magari due sole: una per i cronisti, che raccontino soltanto i fatti, dopo averli approfonditi con serietà per non imbrogliare i lettori. E una per i commentatori, i cosiddetti “opinion leaders”: che non parlino di ciò che non conoscono e non amino troppo il piacere di ascoltare se stessi.

Io sono molto contenta, caro Presidente, quando lei, senza alzare la voce anzi abbassandola ancor più e costringendo così l’uditorio alla massima attenzione, dichiara la fermezza delle sue decisioni e chiarisce di non esser disponibile a pressioni. E non m’importa affatto se poi i giornali titoleranno che lei ha indossato l’elmetto: perché ho sempre pensato che chi ha paura del rigore ha paura della verità, ed è pertanto assolutamente inaffidabile.

Caro Presidente, lo so che “de minimis non curat Praetor”, e che lei non può davvero occuparsi di tutto. Già si è caricato la granderesponsabilità della guida dei Ministri, la fatica del mantenimento dei rapporti con i Partners internazionali, e -last but not least- il peso del Ministero dell’economia e finanze. Francamente, non so come lei faccia, a reggere tutto questo: e questo aumenta la mia ammirazione per lei perché, finora, una simile poderosa capacità di lavoro ed un altrettanto forte senso di responsabilità, l’ho conosciuto soltanto in casa radicale. Da Marco Pannella, passando per Emma Bonino e per un piccolo stuolo di giovani parlamentari fino al militante che ci ha raggiunti da pochi mesi, questa gente mia è rigorosa, laboriosa, onesta e silenziosamente nonviolenta come lei ed i suoi collaboratori.

Ma sto divagando. Torno subito a quei “minimis” che forse lei non ha ancora avuto il tempo di approfondire. Lei lo sa bene, Presidente, che fra lei e i cittadini italiani non ci sono soltanto i Partiti, ma c’è anche quel mostro che ha nome burocrazia. Lì si annidano le maggiori perdite di danaro pubblico: è come una rete idrica in cui ad ogni metro ci sia un buco che disperde acqua.

Certo in Italia non é neppur minimamente pensabile uno “spoiling system” all’americana – figurarsi, con i sindacati che abbiamo – e tuttavia bisogna pure che chi ha lavorato male, approfittando del disordine generale e del disinteresse dei capi, impari a fare le cose giuste nel modo appropriato.

Forse il peggior colabrodo è proprio quella Agenzia delle Entrate che deve fornire al suo governo i fondi necessari per realizzare le riforme, con l’incaricato della riscossione (per gli intimi “Equitalia”). Presidente, mi creda, ci dev’essere una gran confusione, là dentro, perché non fanno che chiedere più volte lo stesso pagamento a quei cittadini onesti che hanno sempre fatto il loro dovere. Mandi qualcuno a dare un’occhiata, Presidente.
Ma torniamo alle cose “importanti”.

Parlamentari che non sono stati eletti (= scelti, come abbiamo imparato al liceo quando vi si insegnava il latino) ma designati dai loro sodali, vanno dicendo che il suo governo «non è legittimato dal voto dei cittadini».

A Roma c’è un detto di cultura rurale: “il bove dice cornuto all’asino”. Infatti coloro che accusano il suo governo di illegittimità elettorale sono gli stessi che sono stati indicati dai capi dei partiti, che spesso hanno contraffatto le firme sui documenti di presentazione delle liste (il che è un falso in atto pubblico, se non vado errata), e che non hanno neppure il pudore di tacere.

Da qualche giorno è di moda dire (e scrivere, soprattutto) che il suo Governo è capace soltanto di tagliare i servizi ai cittadini per far quadrare i conti, ma che non fa nulla per la crescita.

Sempre da qualche giorno (dopo la faccenda dei marò arrestati in India e l’altra storia dell’ingegnere rapito e poi ucciso durante una irruzione sconsiderata di militari britannici) é in uso dire che i diritti dei nostri connazionali non sono rispettati perché il suo governo, Presidente, non avrebbe all’estero l’ascendente di cui godeva il suo predecessore.

Non dia retta, Presidente, questi sono soltanto mentecatti. Noi persone ragionevoli sappiamo benissimo che la sua presenza al governo ci sta salvando dal fare perennemente la figura dei giullari in tutti i campi e presso tutti i Governi del mondo.

Per il momento la finisco qui, non voglio tediarla: poi magari, se qualche altra volta sentirò il bisogno di dirle qualcosa, non esiterò a farlo. Lei sa bene che i vecchi sono queruli ed assillanti.
Ah, dimenticavo … Grazie, Professor Monti, di aver accettato di fare il Premier per noi, per ridarci dignità all’interno e salvarci la faccia all’estero. Grazie davvero, caro Presidente.

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=6378&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lettera-a-palazzo-chigi

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