Convegno al Terminus sull’amnistia. Ecco tutti gli interventi
Ieri al Terminus hotel di Napoli si è svolto il convegno, organizzato dall’associazione radicale Per la grande Napoli, dal titolo “amnistia, indulto e misure alternative” che intendeva aggiornare lo stato della situazione carceraria, a distanza di due mesi dall’incontro dello scorso dicembre (clicca qui).
Al convegno sono intervenute personalità del mondo politico, sindacale e associativo impegnati sul problema. Tra gli ospiti, Rita Bernardini, Luigi Compagna, Alfonso Papa e Domenico Ciruzzi, Presidente delle Camere Penali di Napoli.
Dopo l’intervento introduttivo del segretario dei radicali Per la grande Napoli, Luigi Mazzotta, la discussione è entrata immediatamente nel vivo grazie all’accorato intervento del Presidente delle Camere Penali di Napoli, Domenico Ciruzzi. Del suo lungo intervento, meritano una particolare segnalazione due passaggi. Nel primo caso, l’Avvocato ha lanciato un vero e proprio je accuse contro una politica avvezza all’uso strumentale della giustizia e della percezione di insicurezza dei cittadini. A parere di Ciruzzi, tale percezione sarebbe artatamente alimentata dai partiti, con lo scopo di aumentare il proprio bacino di consensi. Ciruzzi ha evocato lo spirito del carcere anni ’70, allorquando fioccavano progetti di recupero come laboratori e circuiti rieducativi. L’associazione collegata alle Camere Penali, denominata “Il carcere possibile”, ha presentato un inquietante report sulla mortalità nelle carceri italiane. Nel 2010, su 186 morti in cella si sono verificati 66 suicidi. Nel 2011 i morti sono stati 184 con ancora 66 suicidi, mentre nell’anno in corso – dato riferito a febbraio – su 25 morti, sono 11 i casi di gesti estremi.
Il primo dei politici intervenuti a prendere la parola è stato Luigi Compagna. Il senatore Pdl è il presentatore di un disegno di legge sull’amnistia che continua a languire nei cassetti di Palazzo Madama. A nostra precisa nostra domanda sullo stato dell’iter del provvedimento, Compagna ha testualmente detto: “Vada a domandarlo a Schifani“. Ha evocato l’intervento in Senato di Giovanni Paolo II del 2003, da cui ha preso la stura la ripresa delle lotte di Pannella sull’amnistia. Singolare il siparietto in cui Rita Bernardini ha interrotto Compagna, ricordando interventi di Pannella del 1977, ancora attuali rispetto alle problematiche di oggi. Il senatore ha replicato asserendo: “Ci auguravamo che con l’avvento di Giuliano Vassalli, avremmo assistito a un miglioramento della situazione”. Compagna ha richiamato il ministro della Giustizia, Paola Severino, a un intervento più deciso sull’amnistia rispetto al pilatesco “decida il Parlamento”. Il Senatore ha inoltre avuto parole molto dure verso parte della magistratura che, a suo dire, rappresenta una corporazione di “stampo sovietico” che impedisce ogni ammodernamento del sistema. Dunque amnistia, indulto ma anche separazione delle carriere e superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale, questa la ricetta proposta da Compagna.
L’intervento del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Carmine Antonio Esposito, è andato in direzione favorevole rispetto alle istanze sollevate dal convegno, in merito al rispetto dei diritti umani nelle celle. Ha inoltre ricordato, Esposito, la necessità che la pena torni alla sua funzione rieducativa, piuttosto che affidarsi alla procedura sbrigativa dello “buttar via la chiave”. Il carcere restituisce persone peggiori e incattivite con la società e bisogna porre fine a questo circolo vizioso. Esposito ha poi avanzato la proposta di distinguere i luoghi di detenzione per custodia cautelare, rispetto alle carceri, che dovrebbero ospitare unicamente i colpevoli passati in giudicato.
Rita Bernardini (clicca qui per l’intervista) ha replicato ad Esposito ricordando che le idee del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, sono contenute in proposte di legge radicali ignorate dai Presidenti delle Camere che puntualmente non le calendarizzano. Ha poi ricordato, la Bernardini, che “a pochi metri da qui, a Poggioreale, sappiamo che mentre parliamo si stanno perpetrando dei reati che violano l’articolo 3 della convenzione Cedu sui diritti umani”. La Bernardini ha parlato della vita dei detenuti, costretti a stare per 22 o 23 ore al giorno in celle sporche e sovraffollate, per giunta privi di un sistema sanitario decente. A esemplificare tale dato, la deputata ha citato il caso di una donna reclusa a Rebibbia, salvata in extremis da un calcinoma alle ovaie, curato come fosse un banale mal di pancia. La Bernardini ha anche richiamato l’attenzione sulle carceri come luogo di tortura, come ammesso dallo stesso Guardasigilli, Paola Severino all’uscita dal carcere di Sollicciano, in provincia di Firenze. “Le celle sono luoghi di tortura”, parola del ministro Severino. Anche il dato del lavoro dietro le sbarre lascia esterrefatti. Solo il 20% dei detenuti lavora, con scarsa retribuzione e per soli due mesi all’anno. Indicativa in tal senso la lettera aperta scritta da Carmelo Musumeci, in cui l’ergastolano ostativo detenuto a Spoleto invoca la dignità del suo lavoro da bibliotecario, umiliata con una paga da terzo mondo.
Rita Bernardini ha elencato poi tutte le norme quotidianamente violate dell’ordinamento penitenziario, richiamando anche al ruolo dei magistrati di sorveglianza, che non seguono quanto accade nelle strutture, passando per la cronica assenza di figure intermedie fra detenuti ed agenti. Ma i numeri che testimoniano quanto l’Italia sia “delinquente professionale in senso tecnico”, citando Pannella ripreso ieri dalla stessa Bernardini, la deputata li sciorina al termine del suo lungo speech. I giudizi per l’irragionevole durata dei processi, ovvero una delle cause primarie di un sistema al collasso, sono 1139 negli ultimi 30 anni. In Europa nessuno può vantare un numero di procedimenti così elevato. Il Comitato dei ministri Ue, continua a chiederci interventi strutturali, arrivando a sentenziare nel 2010 che in Italia “sono in grave pericolo lo stato di diritto per via della negazione di diritti sanciti nella Convenzione”. La Bernardini ha chiuso l’intervento portando i saluti di Pannella e rivendicando la necessità dell’amnistia, quella vera, in luogo di quella “di classe” rappresentata da 200 mila prescrizioni all’anno.
L’intervento successivo, quello di Alfonso Papa, ha preso le mosse dalla sua esperienza a Poggioreale, che ha restituito alla politica un uomo nuovo, impegnato nella lotta contro la carcerazione preventiva e il proibizionismo. Proprio in relazione alle sue recenti aperture in temi di droghe e di carcere, Papa ha ribattuto alle critiche in maniera franca: “Solo gli stupidi non cambiano idea”. Particolarmente significativo un passaggio di Papa, che ha raccontato alcuni episodi che testimoniano l’enorme umanità, a tratti rintracciabile nelle celle. “Se oggi non faccio parte della fredda statistica dei suicidi, lo devo ai miei compagni di cella”, ha detto Papa con gli occhi lucidi. Papa ha anche espresso il pensiero secondo cui va eliminato l’ergastolo ostativo: “Se l’ergastolo ostativo è tollerabile, allora si introduca la pena di morte perché, per chi non lo sapesse, di carcere in Italia si muore ogni giorno”.
Gli ultimi interventi sono stati quelli di Mario Barone, vice presidente campano di Antigone, che ha ricordato la situazione drammatica degli Opg, dei cosiddetti “ergastoli bianchi”, interrogando le istituzioni su quali provvedimenti si intenderà prendere, una volta chiusi gli Opg a partire dal prossimo 31 marzo. Barone ha ricordato la scarsa propensione del Tribunale di Sorveglianza di Napoli nella destinazione di detenuti a misure alternative, anche per mancanza cronica di strutture in grado di accogliere i detenuti all’esterno. E’ il caso delle cooperative che gestiscono – specialmente al Nord Est – le case di lavoro. Barone ha chiuso il suo intervento citando una frase di Franco Basaglia: “La nave del manicomio è affondata, altre navi, solo in apparenza meno minacciose, si stagliano all’orizzonte“.
Degno di nota anche l’intervento di Emilio Fattorello, del Sappe, Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria. Fattorello ha rivendicato il ruolo degli agenti penitenziari, di “servitori dello Stato”, riprendendo il filo già tirato dal recente documento del Sidipe, ovvero la sigla che riunisce i direttori penitenziari. “Siamo agenti ma siamo uomini e spesso dobbiamo improvvisarci psicologi, educatori e quant’altro. Non rappresentiamo solo la repressione, ma anche l’umanità“. E ancora: “Se il detenuto è l’ultimo anello della catena, noi siamo il penultimo”. Parole pesanti, come pesanti sono stati i dati sviscerati da Emilio Martucci – radicali Per la grande Napoli – in merito alla situazione di 3 istituti campani: “A Santa Maria Capua Vetere, laddove dovrebbero essere detenute 522 persone, ce ne sono 952, di cui 345 in attesa. Gli educatori sono 9. A Pozzuoli, carcere femminile, 202 presenti in una struttura da 82, uno psicologo per 15 ore al mese e un solo magistrato di sorveglianza. A Poggioreale, invece, 2638 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1410″.
Numeri agghiaccianti quelli presentati da Martucci, cui hanno fatto seguito gli ultimi due interventi. Quello di Rosario Scognamiglio, incentrato sull’esigenza di fare chiarezza sui numeri del penitenziario minorile di Nisida e di Francesco Giunta, avvocato iscritto all’associazione radicale Per la grande Napoli che ha parlato delle contraddizioni nella gestione della giustizia e di alcune sue prassi. Il convengo, svoltosi alla presenza di numerosi parenti di detenuti, ha visto l’intervento della madre di un ragazzo napoletano recluso a Lecce. Egli, con un passato da tossicodipendente, è vittima di continui trasferimenti da una struttura all’altra, in spregio di ogni logica prassi di recupero del condannato oltre che della stessa Costituzione.
Fabrizio Ferrante
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