L’Europa condanna i respingimenti. L’altra faccia del trattato italo-libico
di Fabrizio Ferrante, 25-02-2012
In questi giorni l’opinione pubblica sta riflettendo su quanto, fino a pochi mesi fa, accadeva sulle coste di Lampedusa e non solo. Le scene coi barconi stracolmi di disperati, molti dei quali finiti nei gorghi del mare nostrum, hanno fatto il giro del mondo e hanno portato la Corte Europea dei diritti dell’uomo a emettere una condanna contro il nostro paese. L’Italia pagherà 15 mila euro a 22 ricorrenti, a seguito delle violazioni conseguite ai respingimenti in mare, perpetrati dallo scorso esecutivo di centro-destra.
Il riferimento è il caso Hirsi, sollevato dinanzi alla Corte nel 2009. L’azione incriminata portata a termine dalle nostre autorità, sotto la regia dell’ex ministro degli Interni, Roberto Maroni, è stata individuata nei respingimenti, ovvero il cavallo di battaglia della Lega “di governo”. In tale circostanza, la Corte ha ravvisato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello inerente i trattamenti degradanti e la tortura. A finire nel mirino della Corte di Strasburgo, il fatto che i migranti respinti dalle nostre coste finivano nella vicina Libia, dando corpo a quello che rappresenta il vero oltraggio ai diritti umani, di cui il nostro paese dovrà rendere conto alla storia. Come spesso denunciato da organizzazioni umanitarie, i migranti allontanati dall’Italia finivano in veri e propri lager allestiti nel deserto libico, per gentile intercessione dell’ “amico” Gheddafi.
Tale strategia, tesa a eliminare il “fastidio” degli immigrati – con scarsi risultati, oltre tutto , si vedano i dati sugli ingressi via terra da nord-est – dai nostri confini era parte integrante di un accordo che quasi tutte le forze politiche, di destra come di sinistra hanno sottoscritto, ovvero il trattato di amicizia italo-libico. Nel documento, che prevede ingenti investimenti fino a 5 miliardi di euro da tradurre in infrastrutture nel paese nordafricano, non vi è menzione per i diritti umani – in Libia ha difficoltà di accesso perfino l’Unhcr ovvero l’agenzia Onu per i rifugiati – e la regolamentazione delle frontiere, che di fatto per anni sono state usate come arma dal Rais, mediante emigrazioni forzate. A porre sotto accusa l’intero Parlamento italiano durante i lavori che portarono alla ratifica dell’accordo,furono solo i radicali grazie al lavoro incessante di Matteo Mecacci, insieme ai democratici Furio Colombo e Andrea Sarubbi, mentre Italia dei Valori, pur in posizione più defilata si schierò contro il trattato. I partiti di massa, dal Pd al Pdl, hanno ritenuto “strategico” – cit. Massimo D’Alema – l’accordo con Gheddafi, suggellato con la vergognosa parata e la tenda da circo con tanto di harem a disposizione del dittatore.
Oggi l’Europa ci ha ricordato lo squallore e la scarsa lungimiranza di una politica che sembra lontanissima nel tempo ma che in fondo era la nostra quotidianità fino a pochi mesi orsono. Responsabile morale di questa condanna e delle relative sanzioni pecuniarie, sarebbe secondo molti osservatori l’ex ministro Roberto Maroni. Probabilmente, egli ha rappresentato la testa di ponte, ovvero la prima che salta quando una strategia bellica fallisce, di un’intera classe dirigente che ha gestito la questione libica come un affare di cricche all’italiana con l’aggravante dello spregio verso i diritti umani fondamentali. Senza dimenticare, che l’intera politica migratoria sul nostro territorio è stata gestita per anni all’insegna del terrore, rinchiudendo per mesi semplici migranti in strutture simili alle carceri deniminate Cie – centri di identificazione ed espulsione -. Lo scarso respiro con cui il Parlamento votò un trattato suicida per le nostre finanze e la nostra dignità – alla salute di Impregilo e associati – è pari solo all’atto parlamentare secondo cui il nostro paese ha detto al mondo che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
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