Libero software in libero Stato
di Alessio Jacona (http://www.thewebobserver.it/), "L'Espresso" del 10 febbraio 2012, pp. 114-17
In principio era la Provincia di Bolzano. Nel 2009, il caso delle sue 83 scuole di lingua italiana migrate all'open source fece scalpore e fu persino oggetto delle "Good News" della trasmissione "Report" su RaiTre. E a ragione, visto che i costi si riducevano di un ordine di grandezza, passando dai 269 mila euro l'anno spesi in licenze per sistemi operativi proprietari a 27 mila euro investiti in manutenzione di software libero, che è gratuito o quasi. Sono passati quasi tre anni e, con la crisi in corso e i tagli nelle pubbliche amministrazioni, sarebbe lecito aspettarsi che una simile esperienza sia stata replicata un pò ovunque nel Paese, alleggerendo non poco le spese fatte con i soldi dei contribuenti. Non è così: «A fare scuola a livello internazionale ci sono le esperienze del governo brasiliano guidato da Lula, che ha operato una transizione quasi totale della macchina pubblica al software libero, e poi ancora quelle del Venezuela o della Francia», spiega Luca Nicotra, segretario nazionale di Agorà Digitale.
Qui da noi, invece, le esperienze virtuose balzate agli onori della cronaca ci sono ma non sono ancora abbastanza: si va dalle leggi che agevolano l'adozione del software libero in regioni come Toscana, Veneto, Piemonte, Umbria e Lazio, alle iniziative di alcuni Comuni come Roma e Firenze, fino ai piani di ammodernamento di un'istituzione come l'Istat. E poco altro. Viene da chiedersi se ci sia qualcuno che rema contro: «In primo luogo l'avvento dell'open software nella Pa si scontra con un problema culturale», dice ancora Nicotra, «perché i decisori mancano delle competenze necessarie e spesso ignorano sia la stessa esistenza di valide alternative al software proprietario, sia il fatto che l'adozione del software libero aprirebbe un nuovo e fiorente mercato di piccole e medie imprese del software». Decisori distratti e poco consapevoli, dunque, che in alcuni casi hanno anche tutto l'interesse a restare tali: «Il secondo vero problema», prosegue infatti il segretario di Agorà Digitale, «è determinato dai rapporti molto stretti che spesso legano gli enti pubblici e i fornitori, con questi ultimi che di fatto "ispirano" i bandi», e si assicurano la conservazione dello status quo. Qualcosa però si sta muovendo: a livello locale, c'è il caso - peraltro sempre a Bolzano - dell'azione intrapresa dall'Associazione Software Libero, che si è rivolta al Tar per avere ragione di un bando giudicato sospetto. E poi, molto più in alto, ci sono i recenti provvedimenti del governo Monti: in particolare il decreto approvato con un emendamento portato avanti dal radicale Marco Beltrandi (e proposto proprio da Agorà Digitale), che modifica il comma D dell'articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale e, di fatto, obbliga ora tutte le pubbliche amministrazioni almeno alla «valutazione» del software libero nei loro bandi di gara. Un importante passo avanti, sì, ma soprattutto «simbolico», come lo definiscono gli stessi promotori, che ha il merito di aver riportato il tema dell'open source all'attenzione della politica mentre continua un'altra e più complessa battaglia: quella che i sostenitori del software libero conducono per rendere il ricorso al software proprietario nella pubblica amministrazione un'alternativa secondaria, cui ricorrere solo in caso di stretta (e certificata) necessità. Vietato però farsi illusioni. Sia sulla rapida attuazione del decreto Monti, sia rispetto ai benefici che il software open source può introdurre nella Pa nel breve termine. Intanto perché «non esiste una soluzione valida sempre», come ammonisce l'avvocato Ernesto Belisario, esperto di diritto legato alle nuove tecnologie: «Il software libero», dice, «offre vantaggi di tipo etico-filosofico perché è aperto, perché sai cosa c'è dentro, perché nasce da uno sviluppo partecipato e via discorrendo. Ma non si deve fare l'errore di pensare che "software libero" significhi sempre e da subito zero costi per la Pa. La verità è che la sua adozione può portare benefici economici nel medio e lungo periodo, ma nel breve richiede investimenti.
Vale a dire: non si pagano le licenze, ma ci sono i costi di migrazione, di sviluppo, di manutenzione, di formazione. Quello sul software libero insomma è un investimento e quindi per risparmiare domani servono soldi subito, che i responsabili della Pa - in questa fase di crisi - non sanno dove trovare. Un discorso simile a quello che riguarda l'auspicata sparizione della carta, anch'essa prevista dal decreto sulle semplificazioni. A riguardo, Belisario ricorda che in Italia è dal '99 che si parla di digitalizzazione senza concludere molto: «Ad esempio, sono quasi tre anni che ci portiamo dietro la questione della fatturazione digitale», spiega, «che però non decolla. Anche se, secondo la più prudente delle stime, farebbe risparmiare al Paese 10 miliardi di euro l'anno (3 solo per la pubblica amministrazione)». E così si teme che il passaggio al software libero faccia una fine simile. Anche perché le difficoltà non mancano. Dice ad esempio Elio Gullo, direttore dei sistemi informativi per Enpals-Inps: «Nel nostro contesto ogni malfunzionamento può risultare in una interruzione di pubblico servizio con gravi ricadute e disagi per l'utenza», spiega. «Come direttore dei sistemi informativi, se qualcosa va storto devo potermi confrontare con un mio pari grado del lato fornitore che risolva il problema e risponda eventualmente dei danni. Se il mio fornitore sono 10 mila sviluppatori sparsi per il mondo, con chi dovrei parlare? Pagare le licenze insomma significa anche comprare garanzie». Una soluzione ci sarebbe: spiega ancora Nicotra che, «se la Pa stessa si riorganizzasse e mettesse a sistema le competenze delle proprie aziende in-house, potrebbe diventare essa stessa una community di sviluppatori e avere la forza necessaria a garantire affidabilità e continuità dei servizi, interagendo al contempo con le community esterne per creare di fatto un nuovo ecosistema». Un'ipotesi affascinante, ma forse un'utopia in un Paese come il nostro dove, ricorda ancora Gullo, «i due grandi produttori di software della Pa, Consip e Sogei, afferiscono a divisioni diverse del ministero delle Finanze e, al momento non parlano tra loro. Figuriamoci se possono collaborare e fare sistema assieme » . Un peccato, perché l'open source non è solo una faccenda di tasche piene o vuote, ma di lungimiranza e di etica: per Renzo Davoli, presidente dell'Associazione italiana software libero (Assoli), «lo scopo primario di una pubblica amministrazione è erogare servizi efficienti ai cittadini con costi quanto più contenuti possibile, senza per questo dover sottostare ai ricatti e farsi carico dei costi occulti che sono propri dei software proprietari». Scegliere il software aperto, anche quando i costi di adozione risultano uguali a soluzioni proprietarie,
alla lunga avrebbe, secondo Davoli, ricadute importanti per lo Stato: così facendo, «le nostre amministrazioni eviterebbero di farsi vincolare da soluzioni con alti costi di uscita e smetterebbero di investire in prodotti le cui ricadute fiscali sono fuori dall'Italia, di fatto favorendo la creazione di ricchezza per le aziende del nostro Paese». Dato un quadro così complesso, forse ciò di cui c'è davvero bisogno è, come sottolinea Carlo Iantorno, National Technology Officer di Microsoft Italia, «un mercato che sia il più aperto possibile, nel quale prosperino i due modelli, quello del software proprietario e quello del software libero, convivano e siano a disposizione della Pa. Quest'ultima», aggiunge, «deve poi essere in
grado di scegliere di volta in volta la soluzione più adatta alle proprie esigenze». E prima ancora che scegliere il software, conclude lantorno, « bisogna fare passi avanti importanti a livello di sistema, razionalizzando le risorse tecnologiche e quelle umane che le gestiscono, liberando i dati e rafforzando la cooperazione tra pubblico e privato, per incentivare un mercato sempre più libero, diversificato e competitivo». Una bella sfida. E per vincerla non basta di certo un decreto del governo.
Fonte: http://www.agoradigitale.org/libero-software-libero-stato
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