L’«utopia benefica» de «L’era legale»

Nel film di Enrico Caria una Napoli senza camorra e dove la droga viene legalizzata per sottrarla ai clan, di Francesco Durante, da “corrieredelmezzogiorno.it, 17-01-2012

NAPOLI – Mentre è impegnato allo stremo e «non può mollare mai» — perché ha fatto un film artigianale e indipendente (il suo quinto) e gli tocca di seguirlo in ogni sua fase giacché lo spazio è quello che è, e certo non è che un blockbuster da 800 copie si accontenti di averne 799 per consentire pure agli altri un minimo di visibilità — Enrico Caria cerca anche di trovare il tempo per scrivere la nuova storia del suo detective Willy Calone, protagonista dell’apprezzato romanzo L’uomo che cambiava idea (Rizzoli 2006), che intanto sta per uscire in Germania per l’editore Piper.

Qualcuno ne ricorda la trama? Si trattava di capire che fine avesse fatto «’o Bellillo», il cantante neomelodico più amato dei Quartieri; c’era di mezzo un ferocissimo boss, c’era la dark lady Stella Schiano e tutt’intorno Napoli, con tanto di rifiuti e Coppa America, allora come oggi «una giungla dove stanno troppi Tarzàn». Del resto Caria, che è un tipetto mai a corto di idee, trova pure il tempo di dedicarsi al trattamento di un nuovo film, del quale non si può anticipare altro che dovrebbe trattarsi di «un road movie nell’Aldilà», dunque un trionfo di fantasia però «con qualche pezzo di verità incastrato dentro», come piace a lui.

E come succede, in maniera molto più decisa, nel suo «mockumentary» L’era legale, nelle sale in questi giorni con più che confortanti segnali di gradimento da parte del pubblico e tuttavia, come si è detto, in trincea per cercare di strappare spazi ai campioni d’incasso che monopolizzano il panorama nazionale, specie quello dei multiplex. «Va bene i tassisti o i farmacisti, ma forse anche per il cinema ci sarebbe bisogno di un po’ di liberalizzazioni», osserva Caria, «soprattutto per quei film che, come L’era legale, non hanno avuto soldi né dallo Stato né dalle televisioni, e malgrado tutto sbigliettano bene». L’era legale, per l’appunto. Questo finto documentario su Nicolino Amore (Patrizio Rispo), sindaco a sorpresa, e a sorpresa eroe dell’epocale mutamento di Napoli nell’anno 2020, ha conquistato nel giro di pochi giorni, a botte di tutto esaurito nelle due sale napoletane in cui viene proiettato, i favori del pubblico. Se non l’avete ancora visto, forse già sapete che la trovata con cui Nicolino Amore fa cambiare pelle a Napoli è la legalizzazione della droga.

Una mossa grande e semplice nello stesso tempo, grazie alla quale le grandi organizzazioni criminali si ritrovano d’improvviso col culo per terra, e allentano finalmente la presa. Quando il film fu invitato al Festival di Torino, Caria andò dal nuovo sindaco de Magistris e gli portò un demo di dieci minuti. Il film era stato girato prima della sua elezione. Chissà: magari scattò un minimo d’identificazione (il sindaco nuovo non espresso dai partiti), fatto sta che a de Magistris gli suonava. «E forse gli suonava anche di più il fatto che, per una volta, si mettesse il dito nella piaga ma con un’ottica un po’ ottimista». E insomma de Magistris è andato a Torino con Caria e poi insieme hanno fatto anche una campagna anti-pizzo. Dice Caria: «Credo che una reazione simile ce l’abbiano quelli che vanno a vedere il film. Escono divertiti e leggeri, a Napoli più che a Roma, perché a Napoli forse apprezzano di più il sogno, l’utopia di liberazione che caratterizza la storia. Legalizzare la droga è dunque un’utopia? «Beh, è sicuramente un’utopia farlo solo a Napoli; e poi, certo, si pone un problema etico non indifferente.

D’altra parte, il fallimento del proibizionismo sta sotto i nostri occhi: la droga è ovunque, rappresenta il 70/80 per cento del fatturato delle mafie. Hai voglia di far sequestri, se non chiudi il rubinetto la questione non si risolve. Mi diceva il magistrato Vincenzo Macrì, già vice di Pietro Grasso (nel mio film ha una partecipazione amichevole), che in presenza di una crisi economica come l’attuale, i narcos potrebbero essere in grado di guidare la ristrutturazione dell’economia mondiale. Hanno tanti soldi che non puzzano, e possono comprarsi tutto. Lo dimostrano, fra tante, le ultime inchieste condotte nel Nord del nostro Paese». Caria pone dunque una questione grossa, e sia pure senza parere; con l’aria di chi sta raccontandoti una favola, per di più ottimista.

Forse non ne poteva più di certo terribilismo applicato al tema-Napoli? «Quel terribilismo è stato necessario. Prima di Gomorra, pareva che il problema non riuscisse proprio a uscire dall’ambito napoletano, e io ricordo che il processo ai casalesi era confinato nelle pagine di cronaca locale. Ridestare l’attenzione è stato salutare, e ha avuto ricadute reali. Ma poi ci sono state altre ricadute sullo stato d’animo, sull’umore della gente. Forse è una questione di cicli. Forse è il momento di una visione in cui trovino posto anche le enormi potenzialità che Napoli ha, e che sono soffocate dal crimine». Napoli, Napoli, sempre Napoli… Caria vive a Roma da una ventina d’anni, ma senza Napoli pare che il suo immaginario non si metta in moto… «Ho un imprinting napoletano e me lo porto appresso. Ma non è un fatto di campanile. Napoli è la grande narrazione della lotta tra il bene e il male, la frontiera avanzata, il palcoscenico ideale della narrazione. Fossi stato di Pescara, per dire, non le sarei rimasto fedele per tutti questi anni».

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=5520&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=l%25c2%25abutopia-benefica%25c2%25bb-de-%25c2%25ablera-legale%25c2%25bb

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