Coccia: «Voto di civiltà sul testamento biologico»
di Elena Coccia (Vice presidente Consiglio comunale di Napoli), da il Mattino, 18-01-2012
Ho appreso dall’intervento del professor Calabrò, sul Mattino, che il consigliere dell’Idv Elpidio Capasso sarebbe contrario alla delibera della giunta comunale sulla dichiarazione anticipata di trattamento ossia il cosiddetto testamento biologico. Non mi preoccupano le osservazioni sulle «crepe» nella maggioranza consiliare che ritengo solida ed inoltre penso che dibattere su dati cosiddetti «sensibili» non apre crepe ma arricchisce. Ciò non mi esime tuttavia dal ritenere che la posizione di Elpidio sia errata, sia sotto il profilo etico che quello giuridico. Valga per tutte la sentenza della Cassazione a sezioni unite sul caso Englaro, che costituisce un punto fermo che conferisce dignità politica alla posizione della Giunta Comunale. Anche l’elaborazione giurisprudenziale di questi anni ha stabilito un punto base ineludibile che trova conforto negli articoli 2 e 32 della Costituzione: nessuno può mettere le mani sul corpo di un altro senza la sua volontà; Non sfugge certo a nessuno che una delle acquisizioni fondamentali della nostra epoca è il cosiddetto «consenso informato» che ciascun medico fa firmare al paziente prima di eseguire qualsivoglia intervento. Il consenso informato, quindi, esalta il principio dell’autodeterminazione. Dunque che cosa accade se una persona non è più in grado di assumere decisioni sul trattamento che dovrà subire? Oggi si ricorre ai più vicini familiari. Tuttavia vi sono dei diritti di cui può e deve disporre solo il diretto interessato. Il registro del trattamento anticipato altro non è che la decisione da parte di un soggetto in grado di intendere e di volere, di disporre del suo corpo, anche per quando e se non sarà più in grado di sottoscrivere un atto, consegnandolo nelle mani di un ufficiale di stato civile o di un familiare.
Quante persone si pongono questo quesito: «Se fossi incapace di esprimere la mia volontà, costretto ad una vita meramente artificiale, sorretto da un macchinario e senza speranza di ripresa, vorrei ancora che il mio corpo venisse manipolato o piuttosto preferirei che non si esercitasse su di me alcun accanimento terapeutico?» A questo interrogativo può rispondere solo la persona interessata. E sempre più spesso la risposta è che nessuno desidera un accanimento terapeutico sul suo corpo, che la sua vita sia meramente un artificio meccanico, che la sua dignità non venga lesa. Non è questo un desiderio degno di rispetto? Quale principio cristiano violerebbe? Con tutto il rispetto per la tensione morale di Calabrò, perché si pretende di estendere i propri principi a tutti gli altri? Quale pretesa superiorità etica sottintende? Nessuna obiezione di carattere etico può, dunque, essere contrapposta alla volontà della persona di disporre del proprio corpo. Vi è poi l’obiezione che il registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento non avrebbe alcun valore non essendo sostenuto da una legge statale, ma quale legge lo vieta? anzi, la Convenzione sui diritti umani e la biomedica di Oviedo del 1997 ha stabilito che «i desideri precedentemente espressi da parte di un paziente, che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, dovranno essere tenuti in considerazione». Il Codice di deontologia medica, in aderenza a tale Convenzione, afferma che «il medico dovrà tener conto delle precedenti manifestazioni di volontà del paziente». Quindi, un registro del trattamento anticipato, cosa diversa dall’eutanasia o da altre forme di intervento che pure vengono evocate, è non solo possibile ma necessario e costituisce un’evoluzione del concetto di autodeterminazione e di consenso informato da cui non è possibile prescindere. Caro Elpidio, ti invito pertanto a riflettere sul voto che darai sapendo che il compito di chiunque faccia parte di un’istituzione è di pensare a tutti e non soltanto secondo la propria etica o confessione.
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