Se la gente pensa ad altro
di Paolo Macry, da “il Corriere del Mezzogiorno”, 15-01-2012
Il Paese sta rispondendo con grande consapevolezza alle manovre degli ultimi mesi, ha detto Monti ai partner europei. E’ vero. Il blocco degli stipendi di milioni di impiegati, l’aumento del carico fiscale, la riforma delle pensioni colpiscono le famiglie come mai era accaduto in età repubblicana. E tuttavia, che sia maturità o stanchezza, non si è assistito finora a reazioni sociali degne di nota. Né adunate oceaniche, né scontri di piazza, né il mob di altre città europee. La cambiale in bianco firmata dal Parlamento a una decina di tecnici di alto profilo sarà pure una sospensione della rappresentanza democratica, ma sembra funzionare.
Tanto più suona anacronistico il tentativo di alcuni partiti e leader di mettere a profitto la crisi, facendo ricorso al linguaggio della demagogia e costruendo qualche nemico del popolo da dare in pasto all’opinione pubblica. Era già successo sul finire della stagione berlusconiana, quando i sondaggisti avevano registrato come gli scandali sessuali non riuscissero a intaccare la popolarità del Cavaliere. E’ poi successo nelle prime settimane del nuovo governo, con le polemiche sugli emolumenti dei deputati, gonfiate ossessivamente dai media e dalla sinistra di Vendola e Grillo, ma che poco sono riuscite a commuovere l’opinione pubblica E sta succedendo con il caso Cosentino, intorno al quale hanno inutilmente soffiato sul fuoco dipietristi e giustizialisti, senza che il suo esito parlamentare abbia provocato molto più di qualche twitter incendiario. Ai tempi di Tangentopoli, l’indignazione di popolo fu la miccia per scardinare la Prima Repubblica. Oggi, con la pressione fiscale alle stelle, il popolo sembra in tutt’altre faccende affaccendato. Quando la crisi addenta i bilanci familiari, anche la polemica contro la Casta si fa irrilevante. Lo stesso può dirsi per quanti, da Vendola al sindaco Emiliano, tuonano contro il presunto segno antimeridionale dell’esecutivo Monti, cercando di aggregare politicamente il Sud. Ma c’è spazio, nell’anno di grazia 2012, per un neomeridionalismo rivendicativo? Ed è realistico contrapporlo alla battaglia antigovernativa del Nord leghista? Pur con ogni solidarietà territoriale, sembra astratto pensare che la recessione e il taglio della spesa non colpiscano in modo precipuo le aree del Paese meno ricche e più dipendenti dai trasferimenti erariali. Ed è interessante notare come la stessa opinione pubblica meridionale sia poco disposta a seguire i neo-sudisti. Se negli anni Novanta Bassolino potè proporsi con qualche credibilità (poi sciupata) come il leader di un Mezzogiorno rampante, difficilmente un Di Pietro o un de Magistris avrebbero oggi le stesse chance.
Non a caso il sindaco di Napoli sta rapidamente bruciando la sua popolarità. In tempi di crisi economica acuta, non bastano le bandane, le assemblee del popolo o l’appoggio ai tassisti per mettere radici. Nè de Magistris sta perdendo punti a causa del siluramento di Rossi o di una disinvolta politica delle poltrone. La gente ha ben altri problemi per la testa: paga le bollette della Tarsu e neppure sa chi sia Rossi. Oggi non è tempo di ideologie, né di capipopolo, né di promesse a futura memoria. Lo spread è una cosa seria, perché riguarda le tasche dei padri e il futuro dei figli, e anche gli amministratori di questa periferia europea dovrebbero capirlo.
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