‘Tovarish’ Nichi e l’isola che non c’è

Editoriale su Stato Quotidiano

Maurizio Bolognetti

Latronico – POTREI iniziare con il più classico dei “c’era una volta”, ma non c’azzecca. E allora inizierò con un c’era e c’è. Sì, c’è una città affacciata su uno splendido golfo da decenni martoriata da ogni sorta di veleni, un pezzo della Magna Grecia inghiottito da diossine e PCB, Ipa e metalli pesanti. E’ la città di Taranto, che come narrano le cronache fu fondata dagli spartani nel 706 a.c. Dopo Sparta venne Riva e poi Vendola, e poi Stefano, e a giudicare da come vanno le cose in questo splendido angolo di Puglia verrebbe da dire che qualcuno deve aver conservato l’insana abitudine di abbandonare i neonati sul monte Taigeto. Il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, dopo aver delocalizzato le cozze del Mar Piccolo, vittime di una indigestione di PCB, ha dichiarato ai microfoni della trasmissione Bao-Bab: “Stiamo lavorando per spostare le scuole, le residenze e le persone che abitano nelle vicinanze della grande industria”.

Geniale quasi quanto il governatore di “Tutte le Puglie”, di cui le cronache tramanderanno ai posteri una straordinaria intervista pubblicata sul numero uno della rivista “Il Ponte”, edita da Ilva Spa.

Insomma, se la montagna della bonifica ambientale non va da Maometto, Maometto va alla montagna, e gli sfigati abitanti del quartiere Tamburi saranno delocalizzati(si spera non con le cozze) a qualche miglio di distanza dal famigerato camino E312 e dalle polveri dei parchi minerari dell’Ilva. Temo, però, che l’operazione per quanto meritoria non servirà a sottrarre i “deportati” ai veleni che incombono su un’intera città assediata oltre che dall’Ilva anche dalle raffinerie Eni e dalla Cementir.

Il duo Vendola-Stefano, evidentemente, preferisce la cura alla prevenzione; o forse quando ha annunciato la delocalizzazione degli abitanti del quartiere Tamburi, Stefano aveva in mente la deportazione ordinata nel 209 a.c dal console romano Quinto Fabio Massimo, meglio noto come “Il Temporeggiatore”.

Di acqua sotto i ponti dalla seconda guerra punica ne è passata davvero tanta, ma rievocare le immagini di una Taranto saccheggiata e distrutta, con 30.000 uomini deportati e venduti come schiavi, ci fa pensare chissà perché ai pascoli vietati, alle cozze delocalizzate, alle pecore alla diossina, all’aria satura di benzopirene. Ma nonostante tutto c’è una Taranto che non molla, rappresentata da un variegato associazionismo e dai ragazzi che, in occasione della prima udienza del processo per l’omicidio Scazzi, hanno manifestato davanti al tribunale srotolando uno striscione sul quale campeggiava la frase: “Su Sarah avete speculato, ma del nostro inquinamento non avete parlato”. Uno dei manifestanti, a quanto pare, è stato denunciato. Non risultano denunciati, invece, perlomeno per oltraggio al pudore, coloro che da mesi e a reti unificate propongono corrispondenze e morbose ricostruzioni di quello che era e resta un terribile fatto di cronaca nera.

Una vicenda quest’ultima che è lo specchio dei tempi; specchio di un paese dove il dibattito e la possibilità di confronto vengono quotidianamente negati. E’ così sul debito ecologico, sulle vicende che mi piace definire di “veleni industriali e politici”, ed è così sulla questione giustizia-carcere.

Quel che è certo è che mentre l’Aedo Vendola canta di “un’isola che non c’è”, a Taranto un nucleo di resistenti racconta che la città continua a morire. A febbraio, intanto, ci sarà un’importante udienza del processo che vede sul banco degli imputati l’Ilva, accusata di reati gravissimi, quali disastro doloso e colposo e avvelenamento di sostanze alimentari. Sarà interessante seguire gli sviluppi di questo processo e incrociare le dita sperando che il tutto non si concluda con una bella prescrizione.

Il Temporeggiatore non c’è più, o forse sì (Nicky che dici?), ma magari qualcuno a Taranto preferirebbe essere deportato e venduto come schiavo.

Per concludere gioverà ricordare quanto in relazione al Sin (Sito di bonifica d’interesse nazionale) di Taranto è dato leggere nei verbali della conferenza di servizi decisoria del 15 marzo 2011 a proposito della caratterizzazione delle acque di falda superficiali: “I superamenti delle Csc sono riconducibili alla presenza dei seguenti parametri Manganese, Ferro, Arsenico, Cianuri totali, Benzoapirene, Benzene, Etilbenzene, Toluene, Cloruro di vinile, Mercurio, Cobalto, Piombo”, ecc. ecc. E questo per non dire della situazione delle acque di falda profonde e delle matrici ambientali aria e terra.

Fonte: http://lucania.ilcannocchiale.it/post/2717532.html

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