Droghe: cambiare la legge, cambiare la politica
Di Roberto Spagnoli, da “Notizie Radicali”, 10-01-2011
Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’associazione “Antigone”, in un pezzo pubblicato da “Notizie Radicali” lo scorso 28 dicembre ha scritto : “C’è una via maestra per superare in modo duraturo il problema della sovrappopolazione carceraria. Essa consiste nell’abrogare la legge sulle droghe”. In poche parole e in maniera molto chiara, Gonnella scrive quello che con altrettanta chiarezza ben sanno tutti coloro che cercano davvero una soluzione al sovraffollamento carcerario: se non si mette mano alle leggi che quel sovraffollamento hanno contribuito a determinare – insieme a quella sulle droghe, quella sull’immigrazione e le norme sulla recidiva – nessun provvedimento per quanto importante, nemmeno l’indulto e l’amnistia, potrà impedire il collasso delle carceri. Senza toccare quelle leggi, esauriti gli effetti degli interventi immediati, prima o poi ci si ritroverà con le carceri strapiene. “In un Paese autenticamente liberale, senza pregiudizi, bisognerebbe avere il coraggio di sedersi intorno a un tavolo e capire se una svolta antiproibizionista aiuterebbe a togliere il respiro alle mafie e a far risparmiare denaro pubblico allo Stato”, scrive ancora Gonnella, aggiungendo che “intorno al tavolo dovrebbero sedersi poliziotti, magistrati, esperti, rappresentanti dei servizi delle tossicodipendenze, statistici e criminologi. Bisognerebbe fare un lavoro comparato. Vedere i buoni risultati che l’antimoralismo antiproibizionista ha prodotto qua e là in giro per il mondo”. Cioè l’esatto contrario di quanto ha fatto il governo Berlusconi per mano dell’ormai (per fortuna) ex-sottosegretario con delega alla lotta alla droga, Carlo Giovanardi, e del suo “braccio destro (armato)”, il capo del Dipartimento antidroga, Giovanni Serpelloni, tutt’ora in carica.
Può essere anche vero, come insiste a dire Giovanardi, che in Italia nessuno è in carcere solo per aver fumato spinelli. L’ex-sottosegretario e quelli come lui, però, fanno finta di non sapere che qui da noi si può finire in galera – e ci si finisce – per aver ceduto un po’ di cannabis ad un amico, perché ci si è fatti una scorta personale superiore a quanto consentito o magari perché si è deciso di coltivare qualche pianta per non doversi più rivolgere al mercato illegale e finanziare le narcomafie: tutti comportamenti che l’attuale normativa considera reati e per i quali si può subire una condanna penale. E finire dietro le sbarre. E se è vero che in questi anni dalla magistratura sono venute innovative sentenze al riguardo, è altrettanto vero che la giurisprudenza in materia resta molto contraddittoria e poco garantista.
Tuttavia, cambiare le norme in vigore, depenalizzare, promuovere politiche di riduzione dei danni, pur essendo tutte misure assolutamente necessarie, non è sufficiente. Come scrive ancora Patrizio Gonnella, dal nuovo governo e dal ministro Andrea Riccardi, a cui è stata data la competenza ministeriale sulle droghe, dovrebbe venire “un cambio di paradigma”. Se non si cambia l’approccio complessivo, non si riuscirà, infatti, né a comprendere, né tanto meno a governare un fenomeno che è sempre più diffuso, articolato e complesso ed è strettamente connesso ai cambiamenti sociali in atto e alle scelte di vita individuali e collettive. Oggi, invece, il paradigma repressivo e intollerante è ancora quello prevalente, soprattutto come risposta alle comprensibili paure dell’opinione pubblica. Ma, come è stato scritto, “il sonno della ragione genera mostri” e, nel nostro caso, la paranoia repressiva in nome di una presunta “sicurezza” finisce per produrre aberrazioni ingiustificabili come le inaccettabili morti di Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi o Giuseppe Uva. Senza per questo migliorare la qualità della vita della società nel suo complesso. Anzi, ottenendo esattamente il contrario.
Per avviare una riforma della normativa e delle politiche in materia di droghe, occorre però una volontà che francamente non sappiamo quanto sia diffusa oggi nell’attuale parlamento, al di là delle opinioni e della buona volontà di singoli deputati e senatori. Chissà se il “governo dei tecnici” vorrà mostrare anche in questo ambito la stessa determinazione e la stessa concretezza che sta mostrando su altri temi importanti. Chissà se l’intenzione di voler affrontare la questione della giustizia e del carcere in maniera prioritaria spingerà il ministro Paola Severino, ed il presidente del consiglio Mario Monti, ad agire pragmaticamente e a metter intorno ad un tavolo esperti veri, preparati e competenti, che senza pregiudizi studino i buoni risultati che politiche diverse da quella proibizionista hanno prodotto in altre parti del mondo e facciano proposte concrete e praticabili per togliere il respiro alle mafie, far risparmiare denaro pubblico allo Stato, decongestionare le carceri, rispettare le libere scelte personali e offrire a chi soffre di una dipendenza patologica strumenti concreti e scientificamente validati per la cura ed il recupero. Per far questo non bisogna, necessariamente legalizzare le droghe qui e ora. Si potrebbe intanto rilanciare e sostenere una politica di intervento che, pur con limiti e contraddizioni, è stata costruita nel nostro Paese, ma che è stata fortemente osteggiata dalle scelte politiche del governo Berlusconi. E si dovrebbe ragionare solo sulla base della validità scientifica degli interventi e della “best practice”.
Si potrebbe, per esempio, ripartire da Genova, dalla conferenza nazionale sulla droga del 2000. Magari convocando fin da ora la nuova conferenza a tre anni, come prescrive la legge, dalla buffonata di Trieste del 2009. Una conferenza scientifica di alto livello. Se dal governo e dal ministro Riccardi venisse un annuncio del genere sarebbe un buon inizio e non solo per l’anno appena cominciato.
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