Disposizioni in materia di trasferimento del giudizio di pericolosità sociale dalle misure cautelari alle misure di prevenzione

a cura dell'Associazione Il Detenuto Ignoto


Legislatura 16º - Disegno di legge N. 2993

Dei senatori Poretti, Perduca


Disposizioni in materia di trasferimento del giudizio di pericolosità sociale dalle misure cautelari alle misure di prevenzione


Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge, redatto in collaborazione con l’associazione radicale «Il detenuto ignoto», fa proprie, tra le altre, le indicazioni emerse nel corso del convegno «Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano» – promosso dal Partito radicale non violento transnazionale e transpartito, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica ,con il patrocinio del Senato della Repubblica, e svoltosi il 28 e 29 luglio 2011 nella Sala Zuccari di palazzo Giustiniani in Roma – nella relazione dell’avvocato Giandomenico Caiazza, presidente della Camera penale di Roma, che ha evidenziato lo stravolgimento della funzione della custodia cautelare, a seguito della prassi giudiziaria negli ultimi due decenni, diventata un vero e proprio strumento di deterrenza sociale, in violazione dei precetti costituzionali. A contribuire all’aberrazione – per cui da strumento di cautela, quale voleva essere, essa è diventata un’anticipazione della pena – vi è il ricorso frequentissimo al terzo dei criteri di concessione della misura cautelare, quello previsto all’articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale.
A differenza del pericolo di fuga o di quello di inquinamento probatorio, infatti, il pericolo della reiterazione del reato – nonostante la previsione per cui deve essere concreto – registra una giurisprudenza apodittica, dietro la quale si nasconde il desiderio di rispondere all’allarme sociale che hanno prodotto determinati delitti. Inoltre, la sua formulazione si presta a farne un percorso afflittivo; diventa una pena anticipata, prima ancora del riconoscimento o meno della colpevolezza, già sotto il profilo semantico: «reiterazione» presuppone che, almeno nella prospettazione dell’accusa, il delitto sia ascrivibile all’indagato: solo ciò che si è commesso si può reiterare. Ne deriva un ulteriore vantaggio indebito, per l’accusa: rispetto alle altre due esigenze cautelari, che esigono tempi certi, «se dici che il soggetto potrebbe reiterare il reato hai più spazio per tenerlo in cella». Ecco perché a questo parametro di concessione della misura cautelare va ricondotta la maggioranza assoluta dei casi di custodia in carcere; si noti che il complesso dei detenuti in attesa di giudizio ammonta a 26.000 soggetti, quindi il 40 per cento dei detenuti presenti nelle carceri italiane.
La consapevolezza che questa intollerabile situazione viola precisi precetti costituzionali non può essere superata soltanto con la pura e semplice abolizione del parametro, che pure è una misura di elementare civiltà giuridica introdotta all’articolo 1. Per il diritto penale «minimo» può essere sufficiente mantenere – come fondamento della custodia cautelare – gli altri due parametri (cioè le esigenze più veramente «cautelari», il pericolo di fuga ed il pericolo di inquinamento probatorio). Per i reati più gravi, però, si impone una riflessione ulteriore.
Occorre reperire nell’ordinamento istituti giuridici suscettibili di soddisfare l’esigenza sin qui indebitamente conseguita «piegando» l’istituto cautelare ad una finalità indebita. La recente emanazione del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto-legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con la risistemazione dell’istituto preventivo rispetto alla passata frammentazione normativa, rappresenta un possibile traguardo di tale ricerca, se non altro per la natura meno afflittiva delle misure (che ruotano intorno ad obblighi o divieti di dimora o forme di sorveglianza speciale) e per la loro – più volte sperimentate – resistenza allo scrutinio di costituzionalità.
Si tratta di misure il cui presupposto, sin da oggi, è quello della presenza di indizi di reati per le fattispecie di reati «distrettuali»: l’ambito di una possibile loro interferenza con il procedimento penale è quindi sin d’ora possibile, né basta la norma dell’articolo 29 del predetto codice, che ne statuisce la reciproca indipendenza. Occorre invece consentire al giudice per le indagini preliminari (ma, in prospettiva, allo stesso pubblico ministero procedente) di attivare la procedura di applicazione della misura di prevenzione, quando condivida il giudizio di pericolosità sociale ad essa sotteso.
In tali casi spetterà al giudice penale applicare la misura in via d’urgenza (con la procedura che nell’azione di prevenzione indipendente spetta al presidente del tribunale), salvo rifluire poi nella procedura ordinaria di applicazione delle misure di prevenzione dinanzi al collegio competente ed in contraddittorio con tutte le parti.
In tal guisa si consegue il risultato di «spostare» il giudizio di pericolosità sociale dell’indagato su gravi reati sulla sede più propria, quella che attiene alle misure di prevenzione, e farne scaturire un regime di sorveglianza o di obbligo o divieto che non comporti il sacrificio della libertà personale oggi rappresentato dalla custodia in carcere o domiciliare.

DISEGNO DI LEGGE


Art. 1.
1. All’articolo 274, comma 1, del codice di procedura penale la lettera c) è soppressa.

Art. 2.
1. L’articolo 29 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 è sostituito dal seguente:
«Art. 29. - (Rapporto con il procedimento penale) – 1. L’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale.
2. Nei confronti degli iscritti nel registro degli indagati per uno dei reati di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), le misure di prevenzione personali sono applicate anche su proposta del pubblico ministero procedente in sede penale.
3. Qualora sia avanzata dal pubblico ministero richiesta ai sensi dell’articolo 292, comma 1, del codice di procedura penale, nei confronti di uno dei soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, il giudice che riscontri l’esistenza degli indizi di cui al comma 1, lettera c), del predetto codice ma non le specifiche esigenze cautelari di cui all’articolo 274 del medesimo codice, lo dichiara con apposita ordinanza. Nella stessa sede il giudice valuta se il soggetto sia pericoloso per la sicurezza pubblica e, in caso positivo, dispone una delle misure di cui all’articolo 6 del presente decreto con i poteri e nelle forme del provvedimento d’urgenza emesso ai sensi dell’articolo 9. Il pubblico ministero richiedente è soggetto titolare della proposta, in aggiunta ai soggetti indicati dall’articolo 5, per il seguito del procedimento di cui agli articoli 7 ed 8»

Fonte: http://www.detenutoignoto.com/2011/12/disposizioni-in-materia-di.html

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