Riflessioni dopo una visita a Poggioreale
Da “notizie Radicali”, 22-11-2011
Domenico Viggiani, studente del terzo anno di Giurisprudenza presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ha avuto occasione di maturare un’esperienza che si vorrebbe fosse comune a tutti gli studenti, e non solo di Giurisprudenza e non solo di Napoli. La titolare della cattedra di diritto penale di quell’università, professoressa Mariavaleria Del Tufo, “persona molto attenta ai diritti umani” racconta Viggiani, lo ha portato, assieme ad alcuni colleghi, a visitare la casa circondariale di Poggioreale. La direzione penitenziaria ci ha fatto visitare il Padiglione Firenze e il centro d’immatricolazione. E come non pensare, nell’apprendere di questa bella iniziativa della professoressa Del Tufo, a quella riflessione – paradossale, all’apparenza; ma, appunto, all’apparenza – di Leonardo Sciascia, che si domandava se non fosse augurabile e “formativo” che ogni magistrato, vinto il concorso e prima di prendere servizio, dovesse trascorre una settimana in cella a Poggioreale o all’Ucciardone. Ce ne fossero, insomma, di professoresse Del Tufo, molto più di quante sicuramente ce ne sono. Viggiani ci ha inviato le sue riflessioni, e siamo lieti che ce le abbia mandate: “Scrivervi è la prima cosa che ho pensato dopo aver ordinato tali pensieri”, premette. “Ritengo importante aggiungermi – con la mia fresca testimonianza diretta – alle voci di quanti stanno cercando di muovere qualcosa per risolvere il problema delle carceri. Cercherò comunque – oggi ancor più di ieri, perché ancor più conscio della questione – di sensibilizzare io stesso gli altri su questo tema. Sul quale sembra essere un’irremovibile cappa che porta la gente a guardarlo con distacco e indifferenza”. Siamo noi a doverlo ringraziare (Valter Vecelio)
Venerdì 18 novembre la prof.ssa Mariavaleria Del Tufo, titolare della cattedra di diritto penale presso la mia Università a Napoli, ha portato me e alcuni miei colleghi a visitare la casa circondariale di Poggioreale. La direzione penitenziaria ci ha fatto visitare il Padiglione Firenze – di certo il più presentabile, perché di recente ristrutturazione – e, in particolare, i corridoî, le aule dove si svolgono le attività didattiche, le aule delle udienze coi magistrati, quelle dei colloquî. Ci hanno pure fatto visitare una delle celle.
Lo ammetto. Condizionato da una mia preconcetta idea di carcere come lurida stamberga, nell’immediato, ho pensato: infondo nelle carceri ci sarà di peggio. Più tardi, tornato a casa, riflettendoci ho capito: un carcere per essere disumano non deve necessariamente assomigliare a una topaia. Sarà che mi ero lasciato ingannare dall’intonaco ancora fresco sui muri del padiglione, o dal televisore a schermo piatto appeso alla parete della cella?! Sarà che mi ero lasciato condizionare dall’assenza momentanea dei detenuti di quella cella?!
Riflettendoci mi sono reso conto. Mi sono reso conto ricontandomi nella mente i letti davanti ai quali ero passato nella cella: erano sette, tutti in pochi metri quadri; una stanza resa ancora più angusta dalla presenza di un tavolo con delle sedie e da alcuni armadietti; senza alcun impianto di riscaldamento. Certo, il bagno – seppur minuscolo – era separato dall’ambiente della cella: per lo meno aveva una porta. Ma possibile che l’assenza momentanea dei detenuti della cella mi abbia indotto a sottovalutare la gravità di quella situazione?!
Sette letti significano sette persone. Tutte rinchiuse nello stesso posto ventiquattr’ore su ventiquattro. Com’è possibile che sette detenuti stiano stipati in una cella di pochi metri quadri?! Com’è possibile, con altre persone che non si conoscono, che s’incontrano per la prima volta in carcere?! Com’è possibile, quando già a me la mia camera doppia di studente fuorisede mi sta stretta?! E pensare che il Padiglione Firenze è il meno sovraffollato. Ciò vuol dire che a Poggioreale vi sono situazioni ancora più drammatiche. (Ci hanno parlato di grandi camerate che contengono circa una ventina di persone; camerate la cui spaziosità si sviluppa però solo in altezza!).
L’articolo 27 della Costituzione italiana, al terzo comma, dice: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Inutile chiedersi dove sia finito il rispetto dello Stato nei confronti del senso di umanità delle persone detenute in tali condizioni, né tantomeno a quale rieducazione la loro pena possa “tendere” – termine dietro al quale si trova troppo spesso usbergo, quasi a giustificare le pessime condizioni delle persone nelle carceri italiane. E l’Italia sarebbe un Paese civile? La patria del diritto? Ci si magnifica tanto per il fatto che nel nostro ordinamento non vige la pena di morte: ma non è forse una morte cagionata dallo Stato quella dei suicidî di detenuti e di guardie penitenziarie?! E qualcuno non si senta sollevato di un peso quando in questi casi si nomina la parola Stato. Lo Stato italiano, l’ente sulla cui coscienza stanno tutte le sofferenze e i suicidi delle carceri italiane, non è altri che chi attualmente può rimediare, e invece non s’adopera.
Io e i miei colleghi abbiamo avuto anche un incontro col direttore penitenziario, dott. Cosimo Giordano, e con altri operatori della casa circondariale. C’è stato un momento in cui abbiamo rivolto le nostre domande riguardo al carcere e al mondo carcerario.
Alla domanda su cosa ne pensassero dell’amnistia proposta e propugnata da Pannella e dai Radicali come possibile soluzione alla questione del sovraffollamento delle carceri è stato risposto che sarebbe un rimedio insufficiente, e quindi inattuabile, secondo alcuni; oppure attuabile, ma giusto «come palliativo», secondo altri. La propensione per un’amnistia – che, francamente, mi sarei aspettato – mi è sembrata scarsa. L’opinione dominante era incline piuttosto a una sostanziosa depenalizzazione (in particolare, si è fatto riferimento all’eccessiva severità della legislazione sulla tossicodipendenza e sugli immigrati).
A Poggioreale si respirava un’aria di rassegnata accettazione della situazione presente, sia fra i dirigenti, sia fra le guardie penitenziarie con le quali ho scambiato qualche parola. Rassegnazione dinanzi alla crisi economica – determinante per il degrado strutturale, per le mancate assunzioni di nuove guardie, di psicologi, di educatori, per i tagli alle ore di lavoro dei detenuti lavoratori all’interno del carcere; e dinanzi alla “volontà politica” – alla quale solo spettano le soluzioni all’attuale questione delle carceri italiane – che è latitante.
La denuncia rivolta alle forze politiche – ormai quattro mesi fa – dal Presidente della Repubblica sull’«assillante emergenza», sulla «prepotente urgenza» della questione disumana del sovraffollamento delle carceri, ha avuto lo stesso destino dei varî “moniti” presidenziali: è rimasta inascoltata. Anzi: peggio. Il dibattito è durato a stento un giorno fra gli esponenti politici. I quali vedono un’eventuale soluzione del problema solo come un costo in termini elettorali.
I mezzi d’informazione hanno bellamente ignorato non solo le parole del Presidente Napolitano, ma soprattutto – cosa più squallida, in un Paese che si dice “a maggioranza cattolico/cristiano” – il problema delle persone stipate nelle carceri. E se proprio si vuole ignorare la Costituzione e la legge internazionale – o con sofismi tutti endo-dottrinali, o con l’indifferenza – si agisca almeno per senso di umanità, per carità cristiana, mossi dalla compassione per la sofferenza che migliaia di persone detenute sono costrette ad aggiungere alla pena già afflittiva che è la restrizione della libertà!
Che questi sentimenti possano smuovere le menti anche di coloro i quali esprimono solo giudizî critici e negativi nei confronti dei detenuti: si tenga presente che sono persone anche loro!
Nonostante tutto, ci si appiglia – in questi giorni – a un’ultima speranza: che la “volontà politica” possa muovere la neo ministra della Giustizia, prof.ssa Paola Severino, a dare impulso a una soluzione effettiva e definitiva al penoso e vergognoso problema delle carceri italiane, finalmente.
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