Certi Diritti – Trieste – Proposta di deliberazione comunale
PROPOSTA DI DELIBERAZIONE COMUNALE IN MATERIA DI LOTTA ALLE DISCRIMINAZIONI PER ORIENTAMENTO SESSUALE E IDENTITÀ DI GENERE
PREMESSO che
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Compito dell’Amministrazione comunale è di garantire a tutte le persone i diritti civili e sociali nel rispetto dei principi fondamentali sanciti nella nostra Costituzione, in particolare agli artt. 2 e 3, senza discriminazioni basate sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale.
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L’Amministrazione comunale governa una città da sempre attenta al multiculturalismo e alla sinergia tra tradizioni culturali e storiche differenti.
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In questi ultimi anni diverse amministrazioni locali e regionali hanno avviato politiche per favorire l’inclusione sociale delle persone omosessuali e transessuali, sviluppando azioni positive e promuovendo atti e provvedimenti amministrativi che tutelassero dalle discriminazioni.
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La comunità cittadina, al pari di quella italiana, è caratterizzata dal crescere di forme di legami affettivi che non si concretano nell’istituto del matrimonio e che si denotano per una convivenza stabile e duratura.
TENUTO CONTO
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Della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 21, e del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) artt. 10 e 21, che individuano i sei fattori di discriminazione che le istituzioni comunitarie devono impegnarsi a vietare: il genere, l’origine etnica e la nazionalità, la religione o le convinzioni personali, le condizioni di disabilità, l’età e l’orientamento sessuale.
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Della direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 e della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 che proibiscono le discriminazioni dirette o indirette basate sull’origine etnica, le religioni o le convinzioni personali, le disabilità, l’età o l’orientamento sessuale e conseguentemente delle relative leggi italiane di recepimento.
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Dei principi espressi negli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
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Della risoluzione del Parlamento europeo “Orientamento sessuale e identità di genere nell’ambito del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite”, approvata il 28.09.2011, sui diritti umani, l’orientamento sessuale e l’identità di genere nel quadro delle Nazioni Unite. La risoluzione esprime la “preoccupazione per le numerose violazioni dei diritti umani e le diffuse discriminazioni connesse all’orientamento sessuale e all’identità di genere perpetrate sia nell’Unione europea che nei paesi terzi”; riconosce il lavoro dell’ONU “per garantire la piena applicazione dei principi internazionali in materia di diritti umani indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere delle persone”; “accoglie con favore l’adozione, da parte del Consiglio dei diritti dell’uomo, della risoluzione A/HRC/17/19 sui diritti umani, l’orientamento sessuale e l’identità di genere”; chiede “un dibattito ad alto livello in occasione della 19a sessione del Consiglio dei diritti dell’uomo, che si svolgerà nella primavera 2012, ai fini di un dialogo costruttivo, informato e trasparente sulla questione delle leggi e pratiche discriminatorie e degli atti di violenza contro i singoli fondati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”; chiede “agli Stati membri ed alle istituzioni UE di promuovere sistematicamente la tutela e il rispetto dei diritti umani relativi all’orientamento sessuale e all’identità di genere”; “si rammarica che nell’Unione europea i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ivi inclusi il diritto all’integrità fisica, alla vita privata e alla famiglia, il diritto alla libertà di opinione, di espressione e di associazione, il diritto alla non discriminazione, alla libera circolazione e il diritto di asilo, non siano ancora pienamente rispettati in ogni circostanza”; chiede alla Commissione di elaborare una tabella di marcia globale contro l’omofobia, la transfobia e le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”.
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Della sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 che testualmente riconosce: “L’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza”.
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Della sentenza n. 94 del 2011, che, all’esito dell’impugnativa promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso gli artt. 7, comma 1, 8, comma 2, e 13, comma 3, della legge della Regione Liguria, 10 novembre 2009, n. 52, “Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, respinge i dubbi di costituzionalità della legge Regionale, non riscontrando nelle disposizioni censurate alcuna lesione della competenza esclusiva dello Stato, e contribuisce ad inserire un ulteriore tassello nella delineazione della nozione di ordinamento civile ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l., della Costituzione.
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Dell’articolo 21 della Legge 183 del 2010 che inserisce il principio di non discriminazione per il personale della pubblica amministrazione con riferimento ai sei fattori di potenziale discriminazione definiti dall’articolo 19 del TFEU.
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Delle numerose posizioni assunte dal Comitato delle Regioni d’Europa in merito alla necessità “che l’integrazione orizzontale della parità è possibile soltanto attraverso un reale coinvolgimento degli enti regionali e locali, che sono i principali fornitori di servizi, in particolare nei settori della salute, dei servizi sociali e dell’istruzione, e hanno quindi un ruolo chiave nell’individuare e nel rendere disponibili informazioni sulle necessità dei gruppi di persone vulnerabili man mano che queste si manifestano”.
CONSIDERATO che
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L’orientamento sessuale risulta essere ancora oggi un fattore di discriminazione sia dal punto di vista normativo che delle azioni di prevenzione e sensibilizzazione tese ad un cambiamento culturale nei confronti dei pregiudizi verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Da un’indagine condotta nel 2005 dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Arcigay sulla popolazione omosessuale e bisessuale in Italia, infatti, ancora oggi in Italia le persone omosessuali tendono a rimanere nascoste. Solo il 16,5% dei maschi e il 15% delle femmine del campione esaminato sono pienamente “visibili”. Questi valori sono la testimonianza delle difficoltà ancora esistenti in Italia per le persone omosessuali.
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Dalla ricerca nazionale sul bullismo omofobico nelle scuole superiori italiane, effettuata nel 2010 da Arcigay con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è emerso che quasi il 4% degli studenti risulta vittima di bullismo omofobico.
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È necessario superare una serie di ostacoli socio-culturali e normativi, che infrangano il velo di invisibilità che avvolge le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali attraverso iniziative specifiche di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e, soprattutto, modifiche nella normativa, nelle politiche nazionali e locali e nelle buone pratiche al fine di affrontare in modo efficace le discriminazioni in questo ambito, anche attraverso la promozione della accettazione sociale delle diversità, favorendo un più forte legame tra i gruppi maggiormente vulnerabili di omosessuali (donne lesbiche migranti, omosessuali stranieri, giovanissimi o anziani, ecc.).
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Risulta pertanto importante l’azione delle Pubbliche Amministrazioni per promuovere sul piano locale politiche che sappiano rispondere ai bisogni delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, contribuendo a migliorarne la qualità della vita e creando un clima sociale di rispetto e di confronto libero da pregiudizi. L’affermazione dei diritti delle persone costituisce infatti il presupposto per la costruzione di una compiuta cittadinanza. Al fine di dare visibilità a quanto è stato fatto in alcune realtà locali e diffondere buone prassi su tutto il territorio nazionale è nata una Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni anti-discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere (RE.A.DY) per la valorizzazione delle esperienze già attuate e per lavorare perché diventino patrimonio comune degli Amministratori pubblici locali e regionali italiani. In questo modo si è dato un contributo non solo per contrastare le discriminazioni, ma anche per promuovere una cultura dell’accoglienza e del rispetto reciproco in cui le differenze siano considerate una risorsa da valorizzare.
DELIBERA
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di modificare lo Statuto della Città di Trieste nelle parti che seguono:
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al punto 4 dell’art. 5 “Funzioni Generali” introducendo la seguente dicitura: “promuove l’integrazione sociale della sua popolazione, operando per impedire qualsiasi forma di discriminazione legata al genere, all’orientamento sessuale, all’etnia, alla religione o alle convinzioni personali, alle disabilità e all’età”;
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al punto 3 dell’art. 6 “Obiettivi fondamentali” modificare la locuzione “istituto familiare” con la parola“famiglie” e inserire il punto: “agire attivamente per rimuovere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”;
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modificare il titolo dell’art. 29bis in “Consulta per le Famiglie” e di seguito volgere al plurale la parola “famiglia” laddove venga declinata al singolare;
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al comma 1 dell’art. 29 bis inserire “La consulta è espressione della pluralità delle forme familiari, coniugali e non, presenti in città che corrisponde alla realtà della nostra società”;
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inoltre al comma 2 dell’art. 29 bis inserire la lettera “u”: “promuovere il cambiamento sociale e culturale sui temi delle famiglie formate da coppie di persone dello stesso sesso e delle famiglie omogenitoriali”.
- di aderire alla RE.A.DY (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti-discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere), impegnandosi a sottoscrivere la carta d’intenti che definisce finalità, compiti e organizzazione della rete.
- di attivare forme di consultazione stabile e formale tra il Comune e le organizzazioni LGBT presenti sul territorio per valorizzarne le attività, sviluppare percorsi formativi e iniziative comuni, secondo modelli di amministrazione condivisa e di cittadinanza attiva. In particolare di prevedere in fase di stesura del Regolamento della Consulta per le famiglie (art. 29 bis, comma 3 dello Statuto del Comune di Trieste) l’inserimento, tra i componenti, di una rappresentanza dell’Associazione Genitori Omosessuali – Famiglie Arcobaleno.
- di attivare, anche all’interno di politiche già esistenti volte alla prevenzione e contrasto di ogni forma di discriminazione e di assistenza alle vittime di discriminazione, un programma di intervento per la prevenzione e il contrasto dell’omofobia e transfobia e l’assistenza alle vittime di atti di violenza e maltrattamento, anche attraverso la collaborazione con l’UNAR, Ufficio nazionale contro le discriminazioni presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
- di promuovere, a sostegno delle famiglie, politiche e singole iniziative che non producano effetti discriminatori nei confronti di chi sceglie di non contrarre matrimonio, o non può farlo, e sia unito in convivenza stabile per vincolo affettivo, ai sensi della legge n. 1228/54, nonché del Regolamento di attuazione approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 223/89 e successive modificazioni.
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