Giustizia: la Cassazione impone maggiori limiti all’utilizzo della custodia cautelare
Il Sole 24 Ore, 16 novembre 2011
Per il trafficante di droga il carcere non è l’unica possibilità. La Cassazione inizia ad applicare la sentenza della Corte costituzionale con la quale, a luglio, è stata dichiarata l’illegittimità della norma, contenuta nella legge che ha tra l’altro introdotto lo stalking, con la quale si prevedeva l’obbligo di custodia cautelare per l’imputato del reato delineato dall’articolo 74 del Dpr n. 309 del 1990.
La Corte, con pronuncia della Sesta sezione penale depositata l’11 novembre, ha così chiarito che toccherà al giudice valutare, caso per caso, se e quando la detenzione rappresenti la misura più opportuna. Per queste ragioni è stato accolto il ricorso presentato dalla difesa di un uomo, con tre precedenti condanne per reati in materia di armi, che era stato ristretto in carcere sotto l’imputazione di appartenenza alla ‘ndrangheta.
La sentenza della Cassazione sottolinea l’intervento di pochi mesi fa della Corte costituzionale (sentenza n. 231) con la quale è stata bocciata la disposizione della legge n. 38 del 2009. La norma censurata, che riscriveva in parte l’articolo 275 del Codice di procedura penale, stabiliva l’obbligo di custodia cautelare in carcere per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Un vincolo che non era aderente ai principi che comunque devono guidare il legislatore nella disciplina delle misure cautelari.
Il modello da seguire è quello della “pluralità graduata”, di una gamma di misura alternative, caratterizzate da un diverso grado di incisività sulla libertà personale. “Al contrario, la norma scrutinata stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti, una duplice presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa”.
La norma che invece era stata introdotta nel 2009 si caratterizza per un elevato tasso di irrazionalità, visto che colpiva la partecipazione a un’associazione criminale indipendentemente da qualsiasi considerazione sulla sua fisionomia.
Insomma, si qualifica penalmente nello stesso modo sia l’adesione a un sodalizio transnazionale, forte di un’articolata organizzazione, di cospicue risorse finanziarie, sia quella al piccolo gruppo, a volte persino limitato al solo ambito familiare, che opera magari in un’area limitata e con più modesti mezzi. In una prospettiva più attenta alle caratteristiche del caso concreto allora toccherà all’autorità giudiziaria definire la misura cautelare più opportuna, tenendo conto oltretutto del fattore tempo, che potrebbe comunque condurre a dovere rimodulare la misura in relazione all’effettiva e concreta pericolosità dell’imputato. Potrebbe, infatti, darsi che non sia il carcere la soluzione più adeguata, ma altre misure meno pesanti senza perdere per forza di efficacia.
Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2011/11/giustizia-la-cassazione-impone-maggiori.html
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