Quello che manca ad “Attenta vigilanza. I Radicali nelle carte di Polizia (1953-1986)”
L’interesse suscitato tra i partecipanti al X Congresso di Radicali Italiani dalla pubblicazione del mio volume “Attenta vigilanza. I Radicali nelle carte di Polizia (1953-1986)” edito da Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri mi ha ampiamente ripagato del lavoro silenzioso svolto in più di un anno di ricerche negli archivi di Stato. Grazie all’interessamento di Radicali Italiani, ad ogni congressista iscritto è stato regalato una copia del mio libro, fornendo così uno strumento di conoscenza in più sulla nostra storia politica. Aver cercato di supplire a queste mancanze di memorie condivise – attraverso i rapporti di Polizia – ha suscitato l’entusiasmo di molti militanti che, avvicinandomi, si sono o personalmente ritrovati citati o sono stati contenti di ritrovare narrati episodi riguardanti la propria associazione locale. Strano mondo quello radicale: esponenti politici di altri partiti, sarebbero stati in imbarazzo ad essere nominati in un libro ricco di schede di Polizia, di relazioni ecc… mentre tra i radicali c’è quasi l’orgoglio di una riconoscibilità, anche da parte di un semplice funzionario di Polizia. D’altra parte, l’apertura del partito, delle sue sedi, le assemblee e i congressi aperti, l’informazione diffusa, anche attraverso Radio Radicale, favoriscono comunicazioni ampie da parte dei funzionari dello Stato che non vengono avvertiti dai militanti come “nemici”: eppure i loro numerosi rapporti, alla luce di queste investigazioni mute e continue – un migliaio di appunti, relazioni e telex rintracciati, contestualizzati e tutti annotati, riguardanti le microstorie locali come gli avvenimenti nazionali del partito – costituiscono solo una parte di quel materiale che nella sua completezza avrebbe potuto aiutare a delineare al meglio la storia radicale.
Non è stato possibile infatti accedere ai fondi archivistici delle Prefetture depositate presso gli archivi di Stato locali perché molto spesso non sono ancora disponibili alla consultazione degli utenti, perché non depositati o perché non inventariati e disponibili nelle sale studio: viceversa alcuni fascicoli segnalati negli inventari dei fondi archivistici del Ministero dell’Interno mancano nei loro rispettivi faldoni: gli esempi più clamorosi sono quelli relativi alla vicenda dell’omicidio di Giorgiana Masi e del rapimento del magistrato Giovanni D’Urso: nella serie degli incidenti – ordine pubblico a Roma – , questi fascicoli mancano laddove dovrebbero stare, a disposizione dei ricercatori. Per certi versi un destino peggiore rispetto a quello toccato alle carte relative al controllo del Partito Repubblicano Italiano inviate al Gabinetto del Ministro dell’Interno dal 1981 al 1985: documentazione segnalata come rimasta a disposizione di un ministro dell’epoca e mai pervenuta all’archivio centrale dello Stato.
Alcune vicende radicali si intrecciano con il ruolo del servizio di intelligence: lo scandalo Eni, la vicenda P2 e il ruolo del generale Enrico Mino (ruolo, in qualche misura comunque ricostruito nel volume sulla base di resoconti di comizi di Marco Pannella e di atti parlamentari), tanto per citarne alcuni, non sono stati citati semplicemente perché quegli archivi ancora non sono a disposizione degli studiosi. Rimangono riservati e non risultano essere depositati presso l’Archivio centrale dello Stato se non nella forma del carteggio su alcune vicende molto limitate già seguite dalle forze di Polizia. Rimangono a disposizione degli studiosi gli atti prodotti fino alla fine degli anni Cinquanta, dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, ufficio nel quale aveva fatto capo fino al metà degli anni Ottanta una potente polizia parallela che agiva in modo del tutto autonomo dalle canoniche forze di pubblica sicurezza e che era in grado di gestire e tenere a libro paga centinaia di informatori sparsi in gran parte del territorio italiano.
Come è stato notato in un bel libro di Giacomo Pacini “Il cuore occulto del potere”, gli Affari Riservati, in sostanza, operavano come un vero e proprio servizio segreto, pur non essendo riconosciuto giuridicamente come tale; <<se un servizio segreto ‘civile’, in Italia, è ufficialmente nato solo a fine 1977 (quando venne creato il Sisde), tale organismo, – scrive Pacini – pur non avendo alcuna legittimazione giuridica, è di fatto esistito fin dall’immediato dopoguerra, senza che il suo operato abbia mai suscitato un particolare interesse da parte della stampa, delle forze d’opposizione e della magistratura.> In “Attenta vigilanza”, le relazioni degli Affari Riservati, molto analitiche, costituiscono le principali fonti per la ricostruzione del primo partito radicale, ma la documentazione a disposizione degli utenti termina, come ho già ricordato, alla fine degli anni Cinquanta, primi anni Sessanta, mentre l’Ufficio continua ad agire fino ai primi anni Ottanta. Solo la determinazione dello storico Aldo Sabino Giannuli, consulente del giudice istruttore milanese Guido Salvini, portò alla scoperta di un archivio del Ministero dell’Interno in via Appia Antica a Roma, tra cui un corposo numero di documenti privi di protocollo e catalogazione, alcuni dei quali facenti parte di una sorta di archivio personale di dirigenti degli Affari Riservati, da cui si evince come squadre periferiche composte da sottoufficiali di pubblica sicurezza andavano recependo continuamente da fonti inserite nelle aree più varie informative che venivano inviate agli Affari Riservati.
Questo materiale, o, meglio, quello che rimane a seguito della scoperta, non è a disposizione degli utenti.. Non sono disponibile ancora le carte della Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, nata nel 1981, che può essere considerata la diretta erede dell’Ufficio Affari Riservati. In questo caso, vale però il principio generale del versamento delle carte, che possono essere versate sulla base di lavoro di commissioni ministeriali, dopo quaranta anni dall’esaurimento delle pratiche e sull’analitica valutazione di carte riservate o segrete. Infine, tra le fonti del Ministero dell’Interno, rimangono ancora inaccessibili, ma ci risulta ancora per poco, agli utenti dell’Archivio centrale dello Stato, le carte del casellario politico centrale, che sarebbe dovuto terminare con la caduta del fascismo e che invece sono state prodotte fino ad almeno il 1969. Si tratta di vere e proprie schedature personali, funzionali ad un regime di polizia e che, finito il fascismo, le strutture montate dal regime, continuarono ad usare per anni. Totalmente inaccessibili gli archivi dei carabinieri e di difficile consultazione, per il periodo che ci interessa, gli archivi militari che potrebbero aprirci verso i processi ai disertori, agli obiettori di coscienza e fare luce sulla giustizia militare.
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