L’intelligenza collettiva dei Radicali

I Radicali rappresentano un raro esempio di “intelligenza collettiva”, sperimentata e praticata all’interno di un’organizzazione politica. Ormai è così da un bel po’ di tempo. E’ stato così anche per la stesura del libro giallo sulla Peste Italiana che, infatti, è un’opera collettiva realizzata dai Radicali come espressione di quello che Gramsci avrebbe definito “intellettuale collettivo”. E’ lo stesso Marco Pannella ad averlo voluto e sostenuto come modello interno al partito e alla galassia radicale per quella società della conoscenza, del sapere e della saggezza verso cui la Politica dovrebbe tendere. L’intelligenza collettiva, almeno nel senso inteso e vissuto dai Radicali, perciò, è liberale e democratica. E’ liberale per tante ragioni, ma soprattutto lo è perché si basa sull’individuo. L’intelligenza collettiva dei Radicali non è un’intelligenza di massa, anzi è il contrario: è incentrata sulla persona, sulle relazioni interpersonali, sulle idee e tenta di costruirsi attraverso le qualità dei singoli, il talento di ciascuno, il riconoscimento delle competenze di ogni militante. I partiti politici di massa, che hanno caratterizzato il Novecento, del resto, non corrispondono ormai da tempo alle esigenze di una società mutata e diversa. Non solo sul piano delle abitudini e dei costumi, ma soprattutto a livello delle innovazioni tecnologiche, scientifiche e della comunicazione. I partiti personali, che hanno preso il posto delle vecchie organizzazioni ideologiche, si stanno dimostrando non più adeguati ad affrontare le sfide del futuro. Anche il modello della leadership carismatica, che trascina e guida i processi politici o dei partiti, appare stanca e stantia. Chi segue o insegue, compresi alcuni giovani emergenti, il vecchio modello dettato dal personalismo o quello illusorio di un solo uomo al comando o quello accentratore, non fa altro che riproporre un modello logoro, un sistema organizzativo ormai al tramonto perché inadeguato alle esigenze di un mondo che è cambiato o sta cambiando con grande velocità. Ma l’uomo è e resta un “animale politico”. 

L’essere umano è una “bestia” sociale e socievole. Lo è per definizione. Almeno secondo una celebre massima aristotelica e tramandata dagli antichi Greci. Per questo motivo, proprio per questa natura “sociale” dell’uomo, le persone si incontrano, parlano, discutono, si organizzano, cooperano. Perché gli uomini, gli individui, i singoli agiscono secondo una natura, spesso violenta e istintiva, ma sempre connotata da una predisposizione umana alla socialità e alla politica. Ritorna al centro del dibattito, perciò, il tema dei modi e dei luoghi attraverso cui esercitare la propria funzione politica, il proprio impegno civile e spendersi personalmente per le cose in cui si crede, per imparare, formarsi, conoscere. La riflessione sulle forme organizzative dei partiti e sui meccanismi interni ai gruppi politici va, dunque, affrontata. Perché in politica la forma è sostanza. Insomma, per costruire il futuro, è necessario ritornare a discutere sulla forma-partito. E’ un dibattito che si è aperto, con una certa intensità, anche al recente Congresso di Radicali Italiani a Chianciano. La discussione, però, spero abbia un suo specifico approfondimento anche durante i lavori del prossimo Congresso del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, che si terrà a Roma dall’8 all’11 dicembre. E’ molto importante. A tal proposito, sull’organizzazione interna alla galassia dei Radicali, la mia idea è quella di dare maggior valore all’insieme emergente rispetto alle singole parti. Ovviamente, mantenendo sia la valorizzazione delle qualità dei singoli sia la struttura pluricentrica, cioè basata su più soggetti, come fossero diversi laboratori di ricerca e di indagine, oltre che di pensiero e di azione politica. Ma tutti questi soggetti (Radicali Italiani, Nessuno tocchi Caino, Non c’è pace senza giustizia, l’Associazione Luca Coscioni, l’Era, ecc.) devono avere la possibilità di rafforzare la capacità del Partito Radicale di essere forza e intelligenza collettiva. Il modello di “intellettuale collettivo” che Marco Pannella ha sempre ricercato e praticato, infatti, è quello di una intelligenza di gruppo composto di tre elementi fondamentali: conoscenza, memoria e percezione. E’ una struttura innovativa che agisce mettendo insieme le singole realtà all’interno di un processo elaborativo comune, quindi costruito sul dialogo, sul contraddittorio, sull’incontro, lo scontro, la discussione.

Del resto, l’intelligenza collettiva è la messa in comune delle capacità intellettuali ed emotive, culturali e creative di un gruppo più o meno ampio di persone in contatto tra di loro, in reciproca interazione, in continua connessione. Un gruppo, cioè, che riesce a collaborare riconoscendo ad ogni individuo le specifiche capacità e attitudini di cui dispone e che l’individuo stesso può mettere al servizio degli altri. In questo modo, quindi, l’individuo trova lo spazio per il suo realizzarsi secondo il proprio talento, le proprie qualità, i propri meriti, cioè secondo una visione liberale della società. In quest’ottica, l’interdipendenza tra i vari esponenti di un movimento politico, per esempio, viene valorizzata dal fatto che per raggiungere un obiettivo si ha bisogno dell’aiuto e del contributo e del punto di vista di più persone e dell’insieme stesso delle persone che compongono il gruppo. E’ un discorso complesso e affascinante. Andrà affrontato in più tappe, compiendo un passo alla volta, ma la discussione sulla forma-partito è aperta. E anche questo tema è legato a doppio filo con l’idea della “società della conoscenza”, a cui lo stesso Marco Pannella ha fatto riferimento, nei giorni scorsi, su Radio Radicale. Ne riparleremo. 

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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=4942&utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=l%25e2%2580%2599intelligenza-collettiva-dei-radicali

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