Una manovra repressiva
Articolo da: Agenzia Radicale
http://www.agenziaradicale.com/index.php?option=com_content&task=view&id...
di Zeno Gobetti
La manovra d’emergenza che il governo ha elaborato nelle ultime due settimane in risposta alla crisi di speculazione finanziaria sul debito, dimostra soltanto il livello di disperazione a cui il Paese è arrivato. La classe politica negli ultimi 20 anni si è dimostrata incapace di porre in agenda le misure necessarie per contrarre il debito pubblico e stimolare la crescita affrontando quelle riforme strutturali che da tanti anni sono richieste da più parti.
Questa era l’unica strada possibile per uscire dal quel terribile vortice in cui ormai è già finito il Paese. Infatti, i tagli alla spesa pubblica comporteranno chiaramente una riduzione della domanda di beni e servizi da parte del pubblico che dubito potrà essere colmata dai privati. Ciò comporta che la stima di crescita per il 2012, attualmente valutata attorno all’1% per l’Italia, dovrà essere rivista verso il basso. Alcuni analisti valutano l’impatto delle manovre di questa settimana in uno 0,5% in meno di crescita del PIL.
Ciò comporterà una maggiore difficoltà a raggiungere il pareggio di bilancio come promesso. È chiaro che il governo sarà costretto ad attivare altre misure correttive al bilancio aumentando le entrate e tagliando ulteriormente le spese anche nel 2012. Oppure dovrà emettere ancora più titoli di Stato aggravando ulteriormente il debito pubblico. Così facendo il meccanismo che ha prodotto oggi questo stato di emergenza non potrà che peggiorare e riproporsi con ancora più drammatici contorni nel prossimo futuro.
Con sorpresa si deve riscontrare che il dibattito pubblico ancora oggi è bloccato su temi di scarso rilievo ignorando la centralità dei problemi strutturali economici del Paese.
Mi sembra che stia solo partendo la caccia ai “colpevoli” mentre, coloro che possono, stanno cercando di mettere al sicuro fondi portandoli all’estero e sottraendoli al fisco italiano, come molte aziende e privati stanno facendo in queste settimane, oppure dando fondo al patrimonio pubblico prima che la scure dei tagli colpisca tutti, come stanno facendo negli ultimi anni molti funzionari e politici con truffe ai danni dello Stato che fanno impallidire anche rispetto a ciò che accadeva nella prima repubblica.
Non intendo entrare in problemi economici complessi sui quali non ho molta competenza e non ho molte soluzioni da offrire, sempre che ce ne siano, per uscire da questa situazione.
Vorrei solo riflettere sugli effetti che tale crisi potrà avere sull’assetto istituzionale della Repubblica già da quello che sta già accadendo e da quello che, probabilmente, ci troveremo di fronte molto presto.
Ad oggi il Governo ha sostanzialmente deciso di far pagare gran parte della manovra agli enti locali (Comuni e Province) tagliando la finanza derivata per 6 miliardi di Euro nel 2012 e per 3,5 nel 2013, ha stabilito sulla carta l’accorpamento di 1.500 comuni sotto i 1000 abitanti e la soppressione di 37 province sotto i 300.000. Alle Regioni sarà tagliato circa 1 miliardo di euro di finanza derivata, con l’impegno a non toccare i fondi per la sanità.
Da molto tempo sono perplesso sulle continue proposte di tagli ai costi della politica partendo dalla soppressione di istituzioni locali. Si può e si deve discutere di una semplificazione degli assetti delle istituzioni locali ( a mio pare si potrebbe lungamente discutere anche su quelle centrali) ma non partendo dal principio della riduzione dei costi. Le istituzioni politiche non sono rami d’impresa. Non è possibile pensare alle riforme istituzionali partendo dall’esigenza di ridurre i costi. Se si tratta di eliminare inutili privilegi che danneggiano la credibilità della classe politica, sono favorevole. Ma se si tratta di tagliare con la scure Istituzioni politiche che esistono da secoli e che andrebbero valorizzate nelle loro funzioni e non eliminate per fare cassa, allora il mio pare cambia.
La riforma produrrà degli inutili e costosi squilibri a livello locale. Genova resterà l’unica provincia della Liguria, così come Potenza lo resterà della Basilicata e Perugia per l’Umbria. Il Molise resterà senza province. Non sono stato un sostenitore del proliferare di micro-province ma non posso pensare che il riassetto degli enti locali passi per un criterio così banale e mediocre come il numero di abitanti. Si vorrà considerare che Siena, Trieste, Piacenza, Grosseto per quanto piccole, sono state e sono tutt’ora realtà politiche, economiche e sociali differenti che meritano il loro riconoscimento e la loro autonomia?
Perché procedere ad un taglio così arbitrario e rozzo senza considerare origini storiche e realtà istituzionali che danno valore a queste città?
Per quanto riguarda i Comuni, molti di quelli che finiranno nella scure sono Comuni di Montagna con pochi abitanti. Si può anche pensare che abbia senso accorpare questi comuni, averli troppo piccoli pone dei problemi di efficienza. Ma chi deciderà? Calderoli a Roma su una mappa? Come saranno tutelate le differenti esigenze delle diverse comunità montane? Su questa misura che in realtà porterà a modesti risparmi e che potrebbe anche comportare notevoli cambiamenti nella vita dei cittadini di questi Comuni, attendo notizie più certe sui criteri e le modalità con la quale si potrà procedere agli accorpamenti.
Desidero affrontare brevemente il discorso sul taglio alla finanza derivata. Le norme sul Federalismo fiscale ( che nulla hanno di federale ovviamente) consentivano la possibilità ai Comuni, alle Province e alle Regioni di modulare entro certi parametri le addizionali fiscali. Con i tagli ai trasferimenti è chiaro che i Comuni e Province saranno costretti ad aumentare al massimo le addizionali per rientrare del mancato trasferimento. E’ difficile che i bilanci dei Comuni, anche dei più ricchi, possano restare in equilibrio. Aspettiamoci quindi, un ulteriore aumento dei costi di servizi pubblici erogati dagli enti locali.
In conclusione, il Governo centrale ha presentato una manovra che produrrà una serie di squilibri Istituzionali tra gli enti locali ai danni principalmente delle Province e dei Comuni. Le Regioni che hanno subito dei tagli più modesti, per quanto molto pesanti, ne usciranno politicamente rafforzate sul piano locale. Si conferma la tendenza a centralizzare nelle Regioni funzioni e competenze danneggiando soprattutto i Comuni e le Province. Oggi le Regioni rappresentano la nuova frontiera dello spreco, o meglio dovrei dire, del furto sistematico del patrimonio pubblico.
Uno sguardo ai bilanci sanitari dovrebbe mettere in allarme tutti coloro che erroneamente vedono nelle Regioni delle amministrazioni territoriali efficienti. Cosa accadrà quindi all’assetto istituzionale della Repubblica con l’aggravarsi della crisi Finanziaria? Lo Stato centrale, così com’è, ha già decretato da tempo il suo fallimento. Chi desidera veramente salvaguardare l’unità istituzionale del Paese, al di là della retorica nazionale, deve pensare a come ridisegnare dalla base l’assetto istituzionale. Non basterà qualche piccolo lavoro di ritocco costituzionale. Sarà necessario pensare in grande.
Tuttavia, se da questa crisi lo Stato centrale ne uscirà male, non è chiaro quali istituzioni potranno farsi carico di ricomporre l’unità nazionale. Se, come temo, saranno le Regioni a farsi carico di questo compito, e ad avere la forza per farlo, l’unità sostanziale del Paese sarà una pura forma in una sostanza istituzionale disaggregata. Se invece, come auspico, potranno essere le Istituzioni locali (Comuni e Province) a stabilire le funzioni delle Regioni e a ricomporre lo Stato centrale secondo principi federali, allora forse avremmo dato un migliore equilibrio istituzionale alla Repubblica. Chiaramente questo è un mio personale auspico da liberale federalista.
Restano molte ombre su ciò che potrà avvenire nei prossimi anni sul piano economico e politico.
Ciò che ho cercato di illustrare sono solo alcune possibilità. Ce ne sono molte altre da considerare alcune con risvolti anche molto tristi. Spetta a noi la scelta. E’ necessario parlare oggi più che mai di riforma della Costituzione, di revisione dell’assetto istituzionale, di forme di governo, di leggi elettorali ecc…
Come si può non capire che a questo punto si è giunti anche grazie al fallimento di un assetto istituzionale e di un sistema politico?
Fonte: http://www.radicalimasi.bo.it/blog/2011/08/18/una-manovra-repressiva/
- Login to post comments