Per un’amnistia nel nome di Togliatti
La giusta battaglia di Marco Pannella, e di chi si è unito a lui, nel mettere i piedi nel piatto nella questione carceraria, suggerisce una serie di considerazioni. Anzitutto il carcere. Si parla sempre di risolvere il problema con costosi e corruttivi programmi di edilizia carceraria, ma poco si discute della forma che queste nuove carceri dovrebbero assumere. In altri termini, ci vorrebbe anche in materia carceraria una “rivoluzione basagliana”, che metta in discussione il modo d’essere stesso della struttura, superando la suddivisione in celle, in bracci, etc., in favore di carceri costruiti secondo meno violente logiche comunitarie. Ossia, invece di proporre, come in alcuni casi avviene (tossicodipendenza, infermità psichica, minore età) la comunità come alternativa al carcere, dovrebbe essere il carcere stesso a essere conformato in modo comunitario o di casa famiglia, quale strumento minimale dell’ipotesi costituzionale di recupero e non meramente repressiva e afflittiva nei confronti dei detenuti; a prescindere dal fatto che gran parte di loro sono addirittura in attesa di giudizio, e che quindi non si attaglia a costoro né una logica afflittiva, né di recupero, ma al più solo di custodia temporanea in attesa della conclusione del processo. Il che certo non consente il trattamento vessatorio che conosciamo, ma impone di adeguare, ammorbidendola di molto, la struttura allo scopo. Come ha rilevato Foucault in “Sorvegliare e punire”, il carcere moderno, come lo conosciamo nato dal Panopticon di Bentham, non è sempre esistito nella storia, e non è detto che debba continuare a esistere, almeno così com’è oggi. V’è poi un altro grave problema: quello dei victimless crymes, i crimini senza vittime, che vengono “inventati” dal legislatore a tutela di questo o di quello che chiamano “bene giuridico”, del tutto astratto, che non si sa perché, pur non ledendo gli interessi concreti di nessuno, dovrebbe essere tutelato a discapito della libertà delle persone, e si pensi ai vari proibizionismi. Bisognerebbe fare una cernita radicale di tutti i reati esistenti (nemmeno i penalisti sanno quanti sono, dato che molti sono nelle leggi speciali di settore), per eliminare tutti quelli che non costituiscono fatti offensivi. Oppure si può procedere a una proposta ancora più decisa, quella di trasformare gl’illeciti penali, o amministrativi, in illeciti civili: nel diritto civile, infatti, è ammesso il risarcimento del danno solo se appunto danno vi è stato. Altrimenti il convenuto viene “prosciolto”. Trasformare il diritto penale in diritto civile comporterebbe perciò automaticamente l’eliminazione per caducazione di tutti i reati che non comportano danno purchessia per i terzi.Visto infine che si parla di amnistia, vorrei concludere con una proposta davvero radicale e “costituzionale”: estendere, in nome del principio di eguaglianza, l’amnistia “Togliatti” a tutti i detenuti. Se qualcuno vuole darsi a una lettura amena, infatti, può leggersi la giurisprudenza degli anni ’40 e ’50 su quelli che l’amnistia Togliatti chiamava “crimini particolarmente efferati”: erano soggetti ad amnistia tutti gli atti, compiuti durante la guerra civile, che non costituissero manifestazione di particolare efferatezza, e i giudici si dimostrarono di manica piuttosto larga, considerando assente l’efferatezza persino in casi conclamati di tortura da ambo le parti. Si dirà che una guerra civile giustifica siffatto trattamento di favore, ma, da radicale e da giuspubblicista, sono troppo legato al principio di parità di trattamento per accettare questo tipo di approccio. Quindi buona “amnistia Togliatti” a tutti…
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