La febbre dell’oro blu

di Luciano Lanza

È in corso una guerra silenziosa che fa milioni di morti. È la guerra dell’acqua.
Un conflitto che vede come protagonisti potenti multinazionali. Da quasi vent’anni è in atto questo conflitto che vede i big dell’economia affiancare o soppiantare i gestori pubblici dell’acqua. E le sinistre più radicali italiane lanciano campagne per la gestione pubblica dell’acqua. Cioè statale, regionale, comunale.
E se si sperimentasse una terza via?
Lunedì 22 marzo, con la ricorrenza della «Giornata mondiale dell’acqua» i mezzi di comunicazione hanno ricordato a tutti che 1,6 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua; 2,6 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base; 5 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate all’acqua. E tutti sanno (meno quelli che fingono di non sapere) che ormai da più di un decennio (ma si potrebbe andare anche più indietro nel tempo) i grandi gruppi industrial-finanziari si stanno interessando al business dell’acqua in previsione dell’esaurirsi del cosiddetto oro nero, cioè il petrolio. Un esaurimento fisico dei giacimenti e un esaurimento economico dettato dalla necessità di sostituire all’inquinante petrolio qualche altra forma di guadagno.
Suez-Lyonnais des eaux, Vivendi, Saur-Bouygues, Thames Water, United utilities, Ruwe, Nestlé, Danone, Coca-Cola e altri fanno da anni della gestione dell’acqua la fonte di alti profitti e contro lo strapotere delle multinazionali il cosiddetto «popolo delle sinistre» rivendica la proprietà pubblica dell’acqua.
Il problema acqua è anche la cartina al tornasole della divisione fra privilegiati e diseredati a livello mondiale se si tiene conto che il 12 per cento della popolazione usa l’85 per cento delle risorse del pianeta.
Ecco la situazione della divisione fra ricchi e poveri nelle varie parti del mondo secondo quanto registrato dall’agenzia di stampa Ansa. «America: anche il continente americano soffre l’assenza d’acqua, manca quella per usi domestici perché viene utilizzata, al ritmo di 2 mila miliardi di litri, per coltivare cereali per l’allevamento. Europa: il 16 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Un problema che in trent’anni è costato 100 miliardi di euro. In Europa il 44 per cento dell’acqua estratta viene utilizzata per produrre energia, mentre nell’area mediterranea, con la domanda raddoppiata negli ultimi 50 anni, si prevede un aumento dei consumi del 25 per cento entro il 2025. Italia: le condutture perdono 104 litri d’acqua per abitante al giorno (pari al 27 per cento dell’acqua prelevata), un terzo degli italiani non ha un accesso regolare all’acqua potabile, ma ogni italiano consuma 237 litri di acqua al giorno. Salerno è la città che ne consuma di più con una media di 264 litri a testa al giorno, mentre Agrigento è quella che ne consuma di meno con 100 litri pro-capite al giorno. Il rubinetto dell’Italia perde il 30 per cento dell’acqua immessa e nelle regioni meridionali e nei mesi estivi il 15 per cento della popolazione scende al di sotto della soglia minima di fabbisogno giornaliero a persona (50 litri al giorno). Il 30 per cento non ha un accesso sufficiente e 8 milioni non hanno quella potabile mentre 18 milioni la bevono non depurata. In Italia c’è però anche il business dell’acqua minerale che vale 5,5 miliardi di euro all’anno (al terzo posto al mondo per consumi pro-capite dopo Emirati Arabi e Messico)».

Pubblico o privato?

Di fronte a questa situazione, drammatica soprattutto nei paesi del cosiddetto terzo mondo, le «grida d’allarme» dell’Onu suonano soltanto come la «necessaria retorica» tipica delle organizzazioni sovrannazionali. Organizzazioni che contano soprattutto come «teatrino mondiale», ma (e diciamolo chiaramente: per fortuna) contano un po’più (ma solo un po’) del cosiddetto due di picche nel gioco della

Fonte: http://www.radicalicaserta.com/index.php?option=com_content&view=article&id=87:la-febbre-delloro-blu&catid=1:legalita-e-trasparenza

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