Belgio e la "Primavera dei popoli"
di Salvatore Antonaci
Quel che stupisce nell’esito delle elezioni belghe di ieri non è tanto il loro risultato piuttosto scontato, quanto la singolarissima coincidenza temporale che vede il Belgio sulla via della secessione guidare la Presidenza di turno dell’UE, ovvero del mega-stato continentale.
Sembra, anche ad un occhio cinico e disincantato, una sorta di nemesi,di beffardo contrappasso a tanta inutile, melensa ed insopportabile retorica politicamente corretta che ha reso disgustosa ai più un’illusione (perchè di questo si tratta, in fondo) per cui si erano spesi nel secondo dopoguerra ingegni sopraffini. Se costoro, ne siamo sicuri, avessero vista la deriva burocratica del proprio progetto si sarebbero dedicati ad altro.
E dunque con quale faccia di bronzo i signori dell’Europarlamento potranno parlare di armonizzazione fiscale, di nuovi vincoli unitari, di livellamento delle materie comunitarie visto che il Presidente dell’assise e, dal primo luglio, anche il Capo della Commissione apparterranno ad un non-paese, come efficacemente ebbe a dire a suo tempo l’ottimo deputato indipendentista britannico Nigel Farage?
Un non-paese perchè sussistono pochi dubbi che l’inerzia elettorale conduca alla separazione consensuale, si spera, tra le due principali comunità, quella fiamminga e quella francofona, che compongono questa specie di Frankenstein istituzionale conosciuto col nome di Regno del Belgio.
Il voto ha solo impresso un’accelerazione notevole a questo processo inarrestabile e ne avremo piena contezza già dalle prossime settimane con le estenuanti schermaglie per la formazione del nuovo esecutivo e per l’individuazione di un percorso comune sulle tanto auspicate riforme.
La N VA, trionfatrice dell’urna, difficilmente accetterà un basso compromesso teso a mantenere lo status quo, come volontà evidente della contropartita vallona. Perchè sarebbe un compromesso economicamente oneroso ed insopportabile, vieppiù in tempo di crisi, per la parte più dinamica ed economicamente sviluppata dello stato federale.
Ufficialmente disposta ad una soluzione confederalista, la formazione guidata da Bart De Wever, alzerà la posta dinanzi al surplace di Di Rupo& Co (la banda del buco brussellese) sino ad arrivare alla rescissione del patto federativo nazionale.
L’effetto domino innescato dall’evento si potrà riverberare a mo’ di tsunami in quasi ogni angolo dell’Unione, quasi come un ’89 differito. Nessuno Stato, infatti, può dirsi al sicuro da spinte centrifughe.
Anzi, il fallimento di uno dei padri fondatori dell’UE farà risaltare tutta l’inadeguatezza di questi contenitori totalmente incapaci di rispondere alle sfide della modernità e di esaudire il crescente anelito di libertà proveniente delle potenziali “patrie per consenso” di rothbardiana memoria.
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