Niente farmaci se non sono sperimentati sugli animali
Niente farmaci se non sono sperimentati sugli animali
Gilberto Corbellini, professore di storia della medicina e bioetica alla Università di Roma, e Chiara L,alli, bioeticista e giornalista, hanno pubblicato per i tipi del Mulino un saggio intitolato Cavie? Sperimentazione e diritti animali (Pagine 157, Euro 14,00), nel quale fanno il punto su una questione che divide l'opinione pubblica, ovvero se la sperimentazione animale sia un bene o un male.
I critici della sperimentazione animale non possono avvalersi di argomentazioni scientifiche, in quanto è indubitabile che non esisterebbe quasi nessuna conoscenza di base sul funzionamento di tessuti, organi, sistemi fisiologici integrati, organismi, senza la sperimentazione animale, né sarebbe pensabile lo sviluppo della medicina sperimentale e quindi la cura e prevenzione delle malattie che oggi possono essere curate e controllate. Ogni farmaco, prima di essere immesso sul mercato, dagli analgesici ai chemioterapici, deve obbligatoriamente essere preventivamente sperimentato su due specie animali, per valutare potenziali effetti collaterali. Tutta la medicina scientifica è passata per la sperimentazione animale, almeno sul piano della fase preliminare.
Dopo una lunga fase iniziale in cui la sperimentazione animale ha contribuito allo sviluppo delle conoscenze di base, grazie alle quali è stato possibile formulare ipotesi esplicative e poi terapeutiche, oggi è uno strumento di sicurezza e di sviluppo delle terapie mediche. Si gioca molto sull'emotività, dimenticando che la disponibilità di farmaci efficaci è sempre passata attraverso la sperimentazione animale. Per gli autori di questo volume non siamo un Paese maturo nell'affrontare e gestire le problematiche che pone lo sviluppo clinico e scientifico. Questo dipende dal declino culturale drammatico della politica e del sistema educativo, che inevitabilmente hanno come conseguenza la diffusa incapacità di comprendere il ruolo della ricerca scientifica e clinica per l'economia del paese e per il mantenimento e miglioramento dei livelli di benessere sino a qui raggiunti. Così facendo si lascia spazio a derive populiste o alla diffusione di credenze pseudoscientifiche.
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D'altro canto, non va mai dimenticato che la scienza è fallibile. Lo è intrinsecamente, in sé. Nella ricerca di nuova conoscenza si può sbagliare. Tuttavia nessun'altra attività umana ha in sé un motore potente di autocorrezione. La comunità scientifica si è organizzata in maniera tale che gli errori sono scoperti e vengono emendati. Questo per dire che gli scienziati non sono degli imbroglioni. Hanno un tasso di onestà superiore a quello medio della società in cui operano. È necessario allora stabilire un dialogo tra la comunità scientifica e gruppi organizzati della società sulla base del reciproco rispetto e della esclusione di ogni forma di violenza.
I cittadini italiani, e ancora più i loro rappresentanti, devono essere informati su quanto sia indispensabile, la sperimentazione animale per la loro salute e per il loro benessere, per smentire quanto le organizzazioni animaliste hanno sostenuto nel corso degli anni, ovvero che la sperimentazione animale non serve e non è servita a niente; che gli animali con cui i ricercatori lavorano sono "vivisezionati" e quindi soffrono terribilmente (il 94% degli animali sottoposti a sperimentazione non sono esposti a sofferenza o questa è ridotta al minimo. Rimane circa il 6% sottoposto a trattamenti che provocano dolore perché lo scopo degli esperimenti è di produrre farmaci che leniscono la sofferenza), e che nella ricerca biomedica si può sostituire la sperimentazione animale con metodi alternativi (è noto a tutti i ricercatori che l'uso di metodi statistici e di modelli arricchisce la ricerca sugli animali. Tuttavia, non c'è niente di alternativo).
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