Lombardia, consultori pubblici dimezzati: "Così diventa difficile applicare la legge sull'aborto"
Lombardia, consultori pubblici dimezzati: "Così diventa difficile applicare la legge sull'aborto"
Chiusi quasi 100 centri in undici anni Il Pd: "I soldi dirottati su quelli privati". La legge ne prevede uno ogni 20mila abitanti, oggi sono 0,4 e la riforma li ridurrà ancora
Da un lato c'è l'aumento progressivo dei privati, che dai 38 del 2005 oggi sono diventati 98. Dall'altro c'è il calo di quelli pubblici, passati dai 230 di oltre dieci anni fa agli attuali 138. Succede ai consultori lombardi, tra i quali i centri convenzionati sono sempre più in aumento. Contro quelli pubblici che, invece, diminuiscono, a causa di fondi ridotti e accorpamenti: "Tra tagli e razionalizzazioni che, nei fatti, sono chiusure, i consultori pubblici in Lombardia sono in sofferenza - sottolinea Sara Valmaggi, consigliera regionale Pd -. La situazione adesso rischia di aggravarsi, sia perché quelli privati sono in crescita. Sia perché non è chiaro come, con la riforma della sanità, i centri pubblici saranno riorganizzati: a Milano potrebbero esserci ulteriori accorpamenti. Con la chiusura, per esempio, di un consultorio pubblico in zona Martesana".
Martedì il Consiglio regionale ha approvato una mozione - presentata da Lombardia Popolare - per dare dei fondi a partire da gennaio a sei consultori privati e d'ispirazione cattolica, già operativi a Bergamo. Ma finora non finanziati dal Pirellone. Un fatto sempre più ricorrente: in tutto, oggi i consultori lombardi sono 236, contro i 268 del 2005. Ma soprattutto, secondo i dati raccolti dal Pd, oggi sono per il 42 per cento privati: nel 2005 lo erano per il 14,2 per cento, nel 2010 per il 29,6. Al contrario i pubblici, spogliati di fondi e in molti casi trasformati in "centri per la famiglia" nei quali oltre alla salute della donna ci si occupa di soggetti fragili come minori soli e padri separati, diminuiscono: nel 2005 in Lombardia erano l'85,5 per cento del totale, oggi poco più del 50.
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Tutto regolare? Non proprio. Perché nonostante il boom dei privati, la Lombardia resta comunque al di sotto degli standard nazionali, che prevedono la presenza di un consultorio ogni 20mila abitanti: oggi in regione i consultori sono 0,4 ogni 20mila residenti. Contro gli 1,1 dell'Emilia e gli 1,2 della Toscana. Per migliorare la situazione, in Commissione regionale Sanità è stato approvato un documento per sostenere i consultori. A partire da quelli, privati, di Brescia: "I numeri dimostrano che la rete regionale deve essere potenziata - ragiona Valmaggi -. Ma questo non può avvenire solo sostenendo i privati, che oltretutto se sono d'ispirazione cattolica sono obiettori di coscienza e non applicano la 194". A confermarlo, don Edoardo Algeri, guida della Federazione lombarda dei consultori cattolici: "Sull'interruzione di gravidanza facciamo obiezione, ma questo non vuol dire che non accogliamo e cerchiamo di supportare le mamme che sono in attesa e in difficoltà: da noi non c'è alcun tipo di sbarramento - spiega -. I tagli di budget regionali, in ogni caso, li patiamo anche noi: oggi riceviamo circa quattro milioni l'anno, per le 47 strutture della nostra federazione. Meno che in passato".
A Milano la razionalizzazione dei consultori va avanti da tempo: già negli anni scorsi l'Asl di Milano, ora Ats, vi ha lavorato, sostenendo la necessità di accorpare sedi tra loro divise, per poter risparmiare sui costi. Un tema che, adesso, torna a tenere banco: da gennaio, a causa della riforma della sanità, i consultori passeranno sotto la gestione degli ospedali. Con il rischio di ulteriori trasformazioni: "Milano è tra le poche città lombarde dove, ancora, non è stato stabilito a quali ospedali saranno assegnati i consultori - spiega la ginecologa Alessandra Kustermann, primario della Mangiagalli -. Si tratta di un patrimonio che non può essere disperso. Soprattutto considerando che in città abbiamo, con la Mangiagalli, uno dei principali punti nascita d'Italia: è necessario potenziare la rete e integrarla con l'ospedale, per seguire la donna anche dopo le dimissioni, per esempio nel periodo dopo il parto che è molto delicato".
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