Lettera a Giuseppe Di Leo
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Lettera a Giuseppe Di Leo
Scrivo a te che con assiduità ora intervieni ai raduni radicali.
Scrivo a te perché presumo lo spirito radicale tu abbia ad ospitarlo, in parte almeno.
Tu, se non ad approvare il libro, a capirne l’intento profondo?
Perché sì, dimmi: di più l’aperta rivolta contro la tirannia di un Dio che delega e si nasconde o di più la estenuante ricerca del cuore Suo distante?
Il mio verso, il senso del cammino incontro al Suo ignoto senso?
Io nel chiederti esplicitamente: parere, critica, la più dura avversità o sinceri consigli.
Il dialogo sempre difficile quando di mezzo c’è la presunta Parola di Dio.
Cosa abbia scritto ne la carne del mio libro, io lo so.
Tuttavia, ne dubito anche: sono più in rivolta o più di ricerca?
Dipende anche dal momento, dall’umore personale di vita o solo quello della pagina che si sta scrivendo.
Io vorrei solo portare alla luce quanto giace nell’oscurità di ognuno di noi, in attesa di sguardo, di critica e di conforto.
Dio, poi.
Dov’è, chi è Dio?
Io scrivo a te nel chiederci chi siamo noi?
Gli dei sono tanti, molti gli arroganti.
Ogni uomo abbia pure a ribattere la sua particolare opinione.
Dal Cerchio della Vita, l’ogni dire a convergere verso il centro da cui la vita si diparte e lì si riassume.
Noi i volti a scavare nel cuore d’ogni più segreto remoto scrigno.
Noi a cercare Nuove Parole e verità in ulteriore.
La verità che sempre è soggettiva e relativa.
Tra noi, tu sei il vaticanista.
Tu stai già camminando la Via Radicale, perlomeno ne conosci i rudimenti perché la frequenti.
Sii il benvenuto nel mio cuore, quale il tuo umore.
Cammini la Via Radicale, portando appresso il tuo Dio.
Al tuo credo il mio rispetto, come ad ogni altra Fede.
Io non sono contro Dio, a dirmi solo avverso all’imporre che non sa proporre.
Più spirito e meno religione è il mio motto.
Io sono agnostico ipersensibile poeta.
Asociale e spirituale radicale, quello che scrivo sempre lo penso.
Tu dici che vorresti convertirci, a donarci la luce?
Grande fatica, onorevole dignitoso dispendio di energie.
Non ne convincessi neanche uno, sarebbe il tuo impegno lodevole perché viene in spirito aperto e disponibile al confronto.
D’Invece, vorrei convertirti io.
Convincerti a riflettere sulla dura via della non-conoscenza.
Io credo in tutto quello che non so.
L’ignoto è mio per principio perché tutto io ignoro.
Le chiavi dell’universo.
Ogni uomo è il granello di sabbia in rapporto/ confronto con tanti altri innumerevoli granelli compari.
Poi, l’umanità tutta è quel granello insignificante/ significante a seconda di presunzione o umiltà del nostro sguardo sul resto dell’universo.
Noi, la nostra vita, ogni nozione, gli dei, lo scibile umano, tutto questo come fosse un singolo granello di fronte all’immensità dell’ignoto che ci comprende, ci contempla e ci dice per quello che siamo: l’arrogante impetuoso incivile genere umano.
Io vorrei portare alla luce quanto giace nell’oscurità di ognuno di noi?
L’abisso, la coscienza a svelare.
Le sue possibilità, tutte le sue insospettabili vite.
La dimora d’ogni possibile luce e l’orrore suo profondo, la pulsazione d’ogni movente e ragione.
Io sono il minatore che scava la sua vena interiore come si attiva su quella comune a tutto il genere umano, dannandosi sulla propria però solo perché io a mia perenne disposizione.
Quando dormo, forse non sto dormendo, sto ancora scavando?
Non so se sono più in rivolta contro Dio o di più alla Sua ricerca il dedito.
Io sono l’autore strano, anomalo, irriducibile nel suo agnostico credo.
Il mio verso lo amo sulla via dell’ineccepibile, a vedere le cose da tutte le prospettive disponibili a questo cuore che vive nel proprio solitario malinconico orrore.
Io anelo la Parola di Dio.
Poi la contesto, lo farei comunque per puro istintivo spirito di confutazione.
Lo si dica il carattere del mio intimo orgoglio.
Il libro, più da bruciare o più d’encomio per la spirituale indole?
Io a portare Dio alla luce dal remoto dei nostri imperterriti dubbi, ansie, le ombre tutte, le personali problematiche della vita sempre.
Dio lo maltratto, lo metto sotto vivisezione?
Poi, forse ne esce più forte e meglio delineato il Dio?
Però, Dio chi è e cosa dice?
Forse, non c’è mai stato?
Forse, dorme solamente o altrimenti l’affaccendato?
Io sento Dio nella Natura e nel respiro dell’universo, non altrove.
Io sono il solitario vagabondo dell’anima che convive con la sua afflizione.
Essendo il sopravvissuto nonostante tutto, l’autore la propria afflizione ora la scrive.
La solitudine la sua abitudine, il cuore sull’incudine.
Comunque, Dio per i cazzi suoi! lasciandoci soli con noi stessi, con i nostri falsi o più vili interessi.
Sincero, dimmelo! il libro da mandare al rogo o più da elogiare per lo spirito suo elevato?
Poi, ognuno è l’esploratore a suo modo.
Poi, ognuno trova quel che trova, a dipendere da dedizione, metodi e modalità della propria ferocia poetica.
Nessun Luogo, Dotazione 14/ 8 – S.Elena 13/10/2012.