
Ha quasi dieci anni la legge sulla fecondazione artificiale. Nata il 19 febbraio, si presenta all’appuntamento con un nuovo carico di dubbi. L’ultimo colpo inferto, col rischio che il testo venga riscritto da cima a fondo, è la richiesta alla Corte Costituzionale di esaminare la fondatezza di uno dei pilastri del provvedimento nato nel 2004. È legittimo che alle coppie fertili siano negati i trattamenti della provetta? Ha girato la questione alla Consulta il giudice Filomena Albano, del Tribunale di Roma. «Per la prima volta il divieto vacilla», annuncia con soddisfazione Filomena Gallo, avvocato assieme a Angelo Calandrini, della coppia che ha fatto ricorso a Roma. Se la Corte dicesse di sì la legge numero 40, una delle più contrastate della legislazione italiana, risulterebbe interamente trasformata sotto i colpi delle sentenze. Prima è caduto il limite al numero di embrioni da poter produrre con le tecniche in laboratorio (inizialmente erano 3), poi l’obbligo di trasferire contemporaneamente tutti i «prodotti del concepimento» in vitro nell’utero della donna in modo da evitare che fossero congelati. Poi è stato smantellato a suon di sentenze il divieto alla diagnosi preimpianto per le coppie infertili. Ad aprile la Consulta si dovrà esprimere infine anche sul bando delle tecniche eterologhe, quelle in cui viene utilizzato il gamete (ovocita o spermatozoo) di una persona estranea alla coppia.
Nel complesso sono stati 28 gli interventi correttivi dei giudici che hanno dato ragione ai pazienti. Alle proibizioni imposte dalle norme i genitori delusi hanno risposto rivolgendosi, a volte in modo inappropriato, a centri di cura stranieri non sempre qualificati. In pratica alcune cliniche all’estero si sono arricchite grazie ai nostri connazionali. Anche come segretario dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo spera che questo ultimo assalto abbia successo «visto che il Parlamento è incapace di legiferare. Significa rispettare tutti i cittadini. Il no alle persone senza diagnosi di fertilità viola il principio di eguaglianza e al diritto alla salute della donna alla quale verrebbe chiusa la porta di un trattamento sanitario». La strada giudiziaria che ha condotto fino alla Consulta è stata tracciata da due coniugi portatori di distrofia muscolare di Becker. Possono trasmettere la malattia ai figli senza averne i sintomi. Ecco allora l’avvio di una lunga trafila. Un primo bambino ottenuto con metodi naturali abortito. Poi la richiesta a un ospedale pubblico affinché l’embrione fosse analizzato con la diagnosi preimpianto prima che venisse trasferito nell’utero della mamma in attesa. La risposta è no in quanto la legge non prevede questi interventi su persone fertili. I due signori si rivolgono all’Associazione per essere guidati, quindi il Tribunale di Roma oltre a confermare la liceità dell’esame sull’embrione pone in dubbio la costituzionalità del divieto di tutte le tecniche a chi non è colpito da infertilità.
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