
Dieci anni di battaglie per l’introduzione della RU486: il Sant’Anna è stato il primo ospedale d’Italia ad avviare la sperimentazione della pillola abortiva, quella che sostituisce l’intervento chirurgico nei casi di interruzione volontaria di gravidanza.
Una scelta che oggi contribuisce a garantire il diritto di tutte le donne italiane all’aborto, grazie alla volontà dei vertici dell’ospedale dell’epoca e, soprattutto, del medico e politico Silvio Viale. Da allora, tra interruzioni e riprese della somministrazione, accompagnate da accese polemiche e battaglie politiche, e da un’inchiesta penale, le donne che hanno fatto ricorso alla pillola sono state al Sant’Anna 7.311. «Dal 2010 poi — spiega Viale, che è tutt’ora responsabile del servizio — gli aborti chirurgici sono calati del 38 per cento, permettendo il dimezzamento delle sedute operatorie». Una pratica, quella della Ru486, che già nel 2006 era in vigore in molti Paesi d’Europa e del mondo, ma che in Italia trovava ancora molte resistenze di natura ideologica perché, dicevano i detrattori, accresceva potenzialmente il ricorso all’aborto annullando gli effetti collaterali dell’intervento.
Era il 9 settembre 2005 quando l’ospedale annunciò di avere attivato lo studio sperimentale clinico «ivg con mifepristone (Ru486) e misoprostolo». L’allora ministro della Salute, Francesco Storace, dichiarò che avrebbe inviato immediatamente gli ispettori e bloccato tutto. La sperimentazione fu effettivamente fermata dopo 26 casi, ma fu poi ripresa a novembre dello stesso anno, e fu definitivamente interrotta nel luglio del 2006 dopo 362 casi. Nel 2009 la magistratura archiviò il procedimento penale contro il ginecologo Silvio Viale, i primari e il direttore generale, Gianluigi Boveri. Nel 2015 il 42 per cento degli aborti è stato praticato con l’ausilio della Ru486. L’introduzione dell’aborto medico ha comportato un risparmio di 3 milioni di euro all’ospedale Sant’Anna e alla Regione.
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