
L'utilizzo di cavie animali per la sperimentazione scientifica, uno dei temi attualmente più controversi, è al centro del nuovo numero, adesso in uscita, di "Agenda Coscioni", la rivista dell'omonima associazione che si batte per la libertà di ricerca scientifica in Italia. Nel dossier si riportano alcuni dati del Rapporto Eurispes 2011, secondo i quali l'88 per cento degli italiani vorrebbe mettere al bando gli esperimenti sugli animali, mentre la percentuale di coloro che la giudicano ammissibile si ferma all'8,2 per cento. Un tema antico, se pensiamo che il primo a parlarne fu Aristotele nel suo Corpus Hippocraticum (fine V - inizio IV secolo a.C.). Lo scienziato filosofo aveva già rilevato, basandosi su dissezioni interne e sull'osservazione esterna dell'uomo, l'omogeneità che intercorre tra organi e parti di numerosi animali, umani inclusi.
Oggi la comunità scientifica è ampiamente divisa, come testimonia il dossier di “Agenda Coscioni” che riporta i pareri di alcuni esperti tra i più autorevoli, pro e contro la sperimentazione.
Interessante l'intervista di Valentina Stella a Silvio Garattini, docente di Chemioterapia e Farmacologia e direttore dell'Istituto "Mario Negri". Il professore afferma che, per ora, la sperimentazione sugli animali è insostituibile. «I metodi alternativi - dice - non esistono. Ce ne sono alcuni complementari, ma non sono sufficienti». Garattini risponde anche a chi afferma che la sperimentazione sugli animali è inutile perché i risultati non sono indicativi degli effetti che le stesse sostanze potrebbero avere sugli uomini. «Ci vogliono dei passaggi intermedi - afferma lo scienziato - rappresentati appunto dalle specie animali più utilizzate, che sono il ratto e il topo. Per stabilire l'effetto di un farmaco è difficile impiegare solo delle cellule, è necessario un organismo vivente».
Un altro medico va addirittura oltre, sostenendo che se la tossicità di alcuni farmaci non si è potuta prevedere, la causa va individuata nello scarso utilizzo di cavie animali: si dovrebbero poter usare più specie, mentre troppo spesso, secondo il docente, «ci si limita ai roditori». Si tratta di Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle attività di ricerca della sede di Bergamo dell'Istituto "Mario Negri". «Oggi più di un milione di persone vive grazie a un trapianto - dichiara il dottore -; fu Joseph Murray il primo che trapiantò a un giovanotto il rene del suo gemello, ma per poterlo fare, Murray in precedenza aveva dovuto operare quasi 600 cani».
Diametralmente opposto il parere di Michela Kuan, responsabile del settore vivisezione per la Lega anti vivisezione (Lav). La biologa, infatti, afferma che «la sperimentazione animale è vista come un male necessario, fondando le sue radici nella passiva, ma non verificata, accettazione della sua presunta utilità». Secondo la Kuan questa pratica è ormai obsoleta e crudele, con un indice di insuccesso altissimo, perché «l'animale non è un modello semplificato dell'uomo e i test non sono applicabili alla nostra specie o direttamente trasferibili».
Un secondo biologo, Marc Bekoff, è in completo accordo con la sua collega: «Più di l00 mila persone l'anno muoiono per effetti collaterali di medicine testate sugli animali. Una malattia indotta artificialmente in un animale ha un decorso diverso rispetto a quello naturale di una infezione umana». Il docente di Ecologia e biologia evolutiva della Colorado University pone poi l'accento su un aspetto particolarmente scottante della questione: la sofferenza che viene causata agli animali. Essi andrebbero trattati con compassione, conclude, «semplicemente perché esistono».
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