Patto rinnovato con il Quirinale di un premier combattivo

Sono solo frasi di circostanza, quelle indirizzate da Mario Monti al presidente della Repubblica in occasione del sesto anniversario dell'elezione al Quirinale? Senza dubbio no. Di solito i messaggi augurali si assomigliano un po' tutti. Ma questo è diverso, sia nel linguaggio sia in quello che dice o sottintende. Il premier afferma di voler portare a termine il mandato ricevuto con tutta la determinazione necessaria. Si riferisce soprattutto all'impegno e alla dedizione indispensabili in questa stagione drammatica, ma la sottolineatura è stata interpretata come la garanzia che la legislatura sarà completata.
In ogni caso, il messaggio contiene una replica implicita ai ritratti apparsi sui giornali negli ultimi giorni, in cui il presidente del Consiglio è raffigurato come un uomo provato, inquieto e solo. Come è logico, il premier «tecnico» non può permettere che passi questa immagine sulla stampa. Tanto meno può consentire che un momento di stanchezza si trasformi in un «cliché» che lo danneggerebbe nei rapporti con i partiti, all'interno, e di sicuro anche con i partner, in Europa.
Sarà anche vero che sei mesi a Palazzo Chigi valgono come dieci anni alla Commissione europea (sue parole), ma a questo punto Monti deve trovare in se stesso tutte le risorse e le energie fisiche e mentali per andare avanti. In fondo, le forze politiche – in particolare il Pdl, ma anche il Pd di Bersani per altri versi – abbaiono, ma non possono mordere. Berlusconi concede parecchio all'insofferenza e all'avventurismo del suo partito, ma al dunque si rende conto che rovesciare Monti equivale a consegnare l'Italia a un destino greco.
Così come è consapevole che la partita politica si gioca soprattutto in Europa: il che impone di non destabilizzare il presidente del Consiglio, l'unico oggi in grado di negoziare con la Merkel e Hollande un risultato utile per il nostro paese.
Di qui il richiamo berlusconiano alla necessità di cercare un accordo sulle riforme «con l'opposizione»: cioè con il Pd (che per la verità era all'opposizione del governo di centrodestra, ma oggi sostiene Monti insieme al Pdl e all'Udc). C'è da dubitare che questa affermazione avvicini di un passo le riforme istituzionali ed elettorali, più che mai avvolte nella nebbia. Ma il punto non è di merito, è politico: con le sue parole, sia pure annegate in un discorso pirotecnico, l'ex premier fa sapere di non avere intenzione di spaccare la larga non-maggioranza che tiene in piedi il governo (versione italiana e lacunosa di quella «grande coalizione» che qualcuno vedrebbe come l'unica soluzione seria, ma non realistica, per rispondere ai fattori di disgregazione). Del resto, «la tenuta sociale è a rischio» dice Corrado Passera. E se il pericolo cresce, la politica, se ancora ha un senso, è obbligata ad agire in modo responsabile.
Ognuno quindi deve misurare i passi, da qui in avanti. Il presidente della Repubblica continuerà ad essere «un punto di riferimento sicuro» per l'esecutivo, scrive Monti. Ma Napolitano a sua volta ha bisogno di essere rassicurato sul fatto che a Palazzo Chigi c'è un uomo che non si lascia sopraffare dalle pressioni e dalla violenza delle polemiche. E che inoltre sa affrontare la crisi economica con la giusta dose di sensibilità sociale. La lettera è servita anche a questo: a rinsaldare il patto Quirinale-governo.
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