Esteti della crisi

Dalla Rassegna stampa

La rivendicazione anarchica dell’attentato a Roberto Adinolfi ha messo in moto la macchina mediatica della memoria e della comparazione con la stagione degli anni ’70-80. Gli anarchici che sono entrati in azione contro il dirigente della Finmeccanica non hanno però molto in comune con il terrorismo di matrice brigatista di trenta - quarant’anni fa. A leggere il documento di rivendicazione, infatti, non si trova alcun obiettivo direttamente politico: niente dottrina, nessun invito alla costruzione di un partito combattente, nessun riferimento alle ricadute della lotta armata, nessuna idea di società nuova da costruire, nessuno studio della fase storica, ma solo l’elogio dell’azione diretta, violenta e distruttiva, “dalla molotov all’assassinio”. Non ci sono, nel documento, preferenze, analisi, valutazioni: decide chi agisce e l’unica cosa che conta è l’azione anche se non porta a nulla. Il rifiuto di gerarchie e progettualità fa senza dubbio parte del bagaglio teorico e pratico dell’anarchismo, ma questa particolare cellula che si è pubblicamente esposta in questi giorni rivela in realtà molti aspetti nuovi rispetto al filone classico dell’anarchismo tradizionale, particolarmente sbeffeggiato nel foglio di rivendicazione: “a voi anarchici che ci accusate di essere velleitari, avventuristi, suicidi, provocatori, martiri, diciamo che con le vostre lotte ‘sociali’, con il vostro cittadinismo, lavorate al rafforzamento della democrazia”.

L’obiettivo ultimo, dunque, di questa azione, al di là della Finmeccanica, è la democrazia, il protagonismo dei cittadini. Nonostante la citazione iniziale da Bakunin, il vero nume tutelare di questo documento, ne siano consapevoli o meno gli estensori, rimane D’Annunzio, inteso qui come esteta del ‘me ne frego’, della bella morte, dell’azione pura, del combattentismo come valore in sé. Quasi ogni parola di quel documento è di fatto un peana a una rivolta senza sbocchi di chi non sa o forse, al contrario, sa molto bene, che questo genere di ribellismo sfocia regolarmente in regimi di polizia ed autoritari. Quasi ogni concetto è condito di estetica da liceali immaturi: “con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore” ed è tutto un “confluire di sensazioni piacevoli”.

Gran parte della letteratura proto-fascista è piena di questi sensazionalismi estetici, così come l’idea di annunciare il numero delle future vittime sulla base dei detenuti da vendicare ci ricorda altre tristi rappresaglie di un’epoca da dimenticare. L’antagonismo dei cosiddetti black-block ha, dunque, finalmente prodotto, a fronte di una drammatica situazione sociale, il proprio “partito” armato che non vuole però iscritti o simpatizzanti, ma emulatori auto-organizzati. Se prima il loro obiettivo era quello di danneggiare la protesta e l’espressione di massa della cittadinanza nel momento in cui scendeva in piazza, oggi, con il salto di qualità che proviene dall’utilizzo delle armi da fuoco, spera di intimorire e annichilire la dimensione organizzata della protesta democratica. Per tale ragione, quindi, l’impegno di tutti per una maggiore giustizia sociale e per una ripresa economica che metta fine al dominio incontrollato del potere finanziario non può e non deve rimanere ambito esclusivo delle istituzioni e del governo, ma deve potersi radicare proprio nel “cittadinismo”, faticosa quanto poco eroica affermazione dei diritti democratici e di conseguenza per questo detestato dai tanti piccoli nichilisti che la storia regolarmente mette in scena nei momenti di crisi.
 

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