di Francesco Pullia, da “Notizie Radicali” del 22-09-2010
Il cosiddetto “animalismo”, termine improprio con cui si vuole intendere, in generale, una concezione del rapporto tra l’essere umano e le altre specie fondata non più sul devastante antropocentrismo ma sul biocentrismo, non è un’ideologia ma una presa di coscienza o, per meglio dire, una forma di consapevolezza che travalica le fittizie categorie di “destra” e “sinistra” per affermarsi, invece, come modalità di un nuovo e più maturo approccio esistenziale. E’ sulla base di questa visione che anche i radicali dovrebbero aderire alla manifestazione nazionale che sabato 25 settembre si svolgerà a Roma, con partenza alle 15 da piazza della Repubblica. Organizzata dall’ampio e articolato fronte animalista, vuole non solo dire no alla vivisezione ma soprattutto sì ad un diverso modo di concepire la ricerca scientifica.
Un appuntamento, che richiede una scelta politica netta, promosso all’indomani della decisione da parte del Parlamento Europeo di approvare, in seconda lettura, una nuova direttiva (86/609) sulla sperimentazione animale che segna un’inversione di marcia rispetto al passato prevedendo la possibilità di ricorrere, anche se in deroga, a gatti e cani randagi, di utilizzare specie in via d’estinzione e/o catturate in natura (compresi i Primati e in particolare le grandi scimmie), di sopprimere le cavie per inalazione di anidride carbonica, di effettuare esperimenti altamente dolorosi senza anestesia.
Una direttiva approvata nel più assoluto misconoscimento di quanto dimostrato dalle principali riviste scientifiche mondiali, come “Nature”, che definiscono la pratica della vivisezione “cattiva scienza” e che non tiene minimamente conto del programma quinquennale di tossicologia molecolare lanciato dalle maggiori agenzie di controllo Usa sulla base delle indicazioni del NRC (protocollo d’intesa firmato al congresso annuale dell’Associazione americana per l’avanzamento delle scienze).
La vivisezione, come ormai è riconosciuto da un numero sempre più elevato di studiosi, non è scienza ma solo un inganno crudele, è il cavallo di Troia tramite il quale farmaci inefficaci e pericolosi vengono immessi sul mercato e agenti nocivi sono introdotti nell’ambiente, nei nostri alimenti, nella nostra vita quotidiana, con certificazioni di efficacia e innocuità (o di “non provata” nocività) inaffidabili e prive di valore scientifico. Poggia su un errore metodologico quale il considerare che i risultati ottenuti su una specie animale siano validi per un’altra specie, compresa quella umana. Ogni specie animale possiede, in realtà, una propria anatomia fisiologica, biochimica, genetica. Di conseguenza non è affatto scontato che quanto si verifica, ad esempio, in un cane, si ripeta allo stesso modo negli esseri umani.
Le differenze biologiche tra le specie non rendono mai i risultati univoci producendo, per quanto riguarda la tossicità di nuovi composti chimici, gravi ripercussioni sugli umani.
E’ a tutti noto, ad esempio, il caso drammatico della talidomide, farmaco che, dato alle donne in gravidanza, provocò la nascita di migliaia di bambini focomelici, senza gambe o braccia. La prova della vivisezione era stata brillantemente superata: risultava sicuro per varie specie di primati e di topi, conigli, cani, gatti, maiali e armadilli, tra i quali solo rari individui avevano mostrato reazioni avverse.
E vogliamo ricordare gli effetti nocivi, con esiti mortali, sugli umani, ma non su altre specie, di medicinali come il Flosint, lo Zelmid, il Nomifensine, l’Amrinone, il Fialuridine, il Clioquinol, l’Eraldin, l’Opren, lo Zomax, l’Isoprotenerol, il Suprofen e numerosi altri che, per ovvi motivi, non stiamo qui ad elencare? Non tutti sanno, perché vige un omertoso silenzio, che in undici anni, solo in Italia, sono stati ritirati per inidoneità, o perché pericolosi, oltre venticinquemila prodotti farmaceutici la cui validità era stata garantita dalla sperimentazione animale.
Tutte le volte che un’industria è stata portata in tribunale per risarcire i danni provocati da un suo farmaco, i dirigenti si sono sempre difesi affermando che sugli animali non si erano verificati quegli effetti collaterali. Ma, allora, se così stanno le cose, se si sa cioè che gli esseri umani non si comportano come gli animali, perché incaponirsi con questa pratica?
Un numero sempre maggiore di report scientifici attestano l’inaffidabilità dei “modelli” animali usati per studiare le malattie umane come la sclerosi multipla, l’ictus, l’artrite reumatoide, la malattia di Parkinson, la malattia di Alzheimer, il cancro al polmone, al cervello, all’intestino.
Al contrario, molti metodi sostitutivi, come gli studi su colture cellulari, biosensori su chip al silicio, la genomica, la proteomica, le simulazioni al computer, possono fornire risposte veloci e attendibili.
Viene legittimo chiedersi perché, dunque, si continui ancora con questa barbarie.
Non è difficile trovare spiegazioni plausibili. Innanzitutto perché dietro la vivisezione e la sperimentazione animale c’è un incredibile giro d’affari che va dal reperimento (spesso in modo illecito) delle specie da sottoporre alla crudeltà ai finanziamenti per la realizzazione di tabulari e le cosiddette “prove”, al costo gonfiato dei medicinali (altissimo è, infatti, il tornaconto economico delle industrie farmaceutiche che speculano sull’aumento del prezzo finale dei farmaci). Inoltre, alla vivisezione e alla sperimentazione animale devono la loro carriera baroni universitari con il loro staff di cortigiani nonché ricercatori spacciati per scienziati di “prestigio”. I saggi sugli esperimenti condotti su animali vengono, come si sa, ospitati velocemente su riviste scientifiche e costituiscono, purtroppo, punteggio. Il guaio è che così si può dimostrare qualsiasi cosa, dalla tossicità all’innocuità di una sostanza. Basta soltanto trovare la specie adatta a quanto si vuole dimostrare. Alla faccia della verità e della nostra salute.
Ci si domanda quando sarà insignito del premio Nobel qualche studioso (e ce ne sono, eccome!) che da lungo tempo cerca di dimostrare che si possono conseguire risultati eccellenti nel campo della ricerca medica senza procurare sofferenza e danno ad altri esseri senzienti, nonché ovviamente, alla fine, allo stesso uomo.
Ogni anno solo in Italia oltre tremila animali tra topi, ratti, gatti, cani, primati non umani, porcellini d’India, mucche, suini, cavalli, pecore, capre, piccioni, furetti, rettili, pesci, uccelli, vengono quotidianamente sacrificati per esprimenti privi di scientificità, ripetitivi, inapplicabili per la salute umana. Gli stessi test vengono, tra l’altro, estesi successivamente, con altre forme e tempi, agli umani (in genere anziani abbandonati nelle corsie ospedaliere, malati terminali, carcerati, bambini orfani, immigrati). E questo, senza alcuna garanzia normativa e, spesso, senza consenso informato. L’attuale legge in vigore, la n.116 del 1992, ha rivelato l’esistenza, soltanto in Italia, di più di cinquecento laboratori di sperimentazione animale, la gran parte dei quali addirittura sprovvisti di autorizzazione, in cui avviene di tutto con scarse o nulle possibilità di controllo.
Allevamenti, come quelli della Green Hill di Montichiari (BS), di cui i manifestanti di sabato vogliono la chiusura, riforniscono i laboratori di mezzo mondo di bestiole, nella fattispecie beagle, da seviziare.
Green Hill di Montichiari è l’unico allevamento di cani “da laboratorio” rimasto in Italia, dopo la chiusura del Morini, uno dei più grandi d’Europa. Da Montichiari mensilmente 250 cuccioli di razza beagle vengono spediti verso l’inferno dei laboratori farmaceutici per il profitto di una multinazionale della sofferenza che gestisce questo lager, l’americana Marshall Farm Inc.
Green Hill è a tutti gli effetti una fabbrica, dove questi animali non vedono la luce del sole, non toccano erba, non respirano aria naturale. Capannoni in cui sono stipati 2500 cani in attesa di un destino atroce. Allo stato attuale, la chiusura di Green Hill potrebbe essere decretata in un attimo se dal Ministero della Salute avessero la forza di far applicare a questo allevamento le norme della Regione Lombardia previste per tutti gli altri allevamenti di cani. La stessa Asl regionale e la stessa Regione Lombardia hanno evidenziato una discrepanza relativamente a questo caso. Adesso l’ultima parola spetta al Ministero.
Sarebbe, però, errato ridurre tutto al dilemma se occorra sperimentare o no sugli animali.
Lo scontro è ben altro ed è tra una vecchia, ammuffita e spesso incanaglita, cultura antropocentrica e una visione culturale ecosofica.
Il 3 ottobre 2007 un piccolissimo stato come San Marino ha approvato la prima legge abolizionista in materia di vivisezione, intitolata “Disposizioni sul divieto di sperimentazione animale nella Repubblica di San Marino”. In premessa si dichiara che «La validità scientifica della sperimentazione animale è argomento controverso e sono sempre di più gli scienziati che si oppongono a questa pratica e preferiscono i metodi scientifici senza animali per i test di tossicità e gli studi in vitro, gli studi clinici ed epidemiologici per la ricerca di base e sulle malattie umane[...]». L’articolo 2, poi, afferma: 1. In tutto il territorio della Repubblica di San Marino è vietato l’utilizzo di animali a fini scientifici o tecnologici. 2. È inoltre vietato l’allevamento di animali diretto all’utilizzo e al commercio degli stessi a fini scientifici o tecnologici.
Sarebbe bello se questi criteri venissero introdotti nelle normative dei paesi europei, Italia in testa. Anche per questo non ci si può sottrarre all’appuntamento di sabato.
Condividi [3]Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=2312 [4]