5 luglio 2010
Un ragazzo di venticinque anni, con una vita devastata dalla droga, si è impiccato la scorsa settimana nella Casa di reclusione di Padova: il terzo suicidio dall’inizio dell’anno in un carcere più "decente" degli altri, con tanti che si affannano a dire che il sovraffollamento non c’entra nulla con i suicidi in galera. Certo, non ci si suicida perché si sta stretti in cella, ma il problema è un altro, è che in quelle condizioni di sovraffollamento sono anche state tagliate le risorse per tenere impegnati i detenuti in qualcosa di utile, manca l’attenzione, mancano gli strumenti per seguire le persone più fragili, per dar loro una mano a fare un percorso di ricostruzione di sé che nella bolgia delle carceri di oggi non è più possibile, per salvarle forse. Il suo star male lo esprimeva tagliandosiHo conosciuto Santino Mantice quando stava nella mia sezione, quella degli studenti. È successo che lui é venuto parecchie volte da me per chiedermi di fargli qualche istanza come la richiesta della liberazione anticipata, oppure istanze per andare in qualche comunità per tossicodipendenti o per essere trasferito in un carcere più vicino alla sua famiglia, o anche per pregarmi di scrivergli qualche lettera di reclamo per segnalare come veniva trattato. In questa maniera sono venuto a sapere molte cose di lui. So per esempio che era stato condannato per reati tipo furtarelli o piccolo spaccio, e che in totale le sue condanne assommavano a due o tre anni, non di più. Mi aveva confidato che gli era morta una sorella di 28 anni in un incidente stradale, e di questo era molto addolorato perché lei era quella che lo seguiva di più. Un’altra cosa che mi aveva raccontato era che aveva un bambino che però non poteva vedere tanto, perché la sua compagna l’aveva lasciato e il bambino stava con lei. Faceva colloquio con i suoi genitori, i quali però, non essendo residenti a Padova ma in Lombardia, venivano una settimana si e una o due no. Quando succedeva che non faceva colloquio per una settimana veniva assalito dallo sconforto e allora reagiva autolesionandosi. A forza di farlo aveva il corpo ricoperto di tagli di lametta dappertutto, sulle braccia, sul petto, sui fianchi e sulle gambe. Ricordo che un giorno, vedendolo in doccia segnato da un mare di tagli freschi avevo cercato di scherzare chiedendogli se per caso si era litigato con qualche tigre. A forza di ripetere questi gesti era finito che l’avevano portato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario per un periodo di circa un mese. Quando era tornato era del tutto frastornato e alla domanda se in manicomio si stava bene aveva risposto che non ci sarebbe voluto tornare mai più e che non si sarebbe tagliato mai più. Poi successe che un giorno gli agenti lo presero e lo portarono in un’altra sezione, e da allora non l’ho rivisto più, finché ho scoperto che l’ha fatta finita davvero con la vita.
Antonio FlorisStava per terminare la pena, ma non ha resistitoCome detenuto sicuramente so di aver sbagliato e di essere in carcere per degli errori fatti. Ma non trovo giusto morire dietro le sbarre di un carcere perché alle persone che dovrebbero occuparsi delle nostre vite non importa nulla dei nostri problemi di salute, tossicodipendenza, alcolismo, disagio psichico.In poco tempo ci sono stati tre suicidi qui a Padova, in un carcere per 350 persone ci troviamo stipati in più di ottocento come in un lager, e tanti senza un minimo di osservazione e assistenza da parte del personale competente, che non può più farcela a seguire tutti.Non si possono lasciar morire in questo modo le persone perché non lo meritano, al di là di qualsiasi motivazione per cui si trovano rinchiuse. È un pezzo di società abbandonata a se stessa, quella che c’è qui dentro, che non può in alcun modo badare alla propria vita perché non ha la libertà per farlo.Spesso nelle sezioni vediamo che ci sono condizioni di disagio che possono portare a gesti estremi, proprio per la sofferenza magari dovuta a fatti che accadono all’esterno, soprattutto in famiglia, io mi sono trovato a parlare con persone che avevano grossi problemi, ma è difficile anche confrontarsi con loro perché in fondo forse nessun detenuto è in grado di dare delle risposte ai loro problemi, e tanti di quelli che lo dovrebbero fare come loro compito sembrano non accorgersi di nulla.Santino Mantice lo conoscevo bene, eravamo vicini di cella. Il mio ricordo di lui risale a un anno fa, era un ragazzo simpatico, sempre allegro e disponibile a dare una mano a chi ne aveva bisogno. Qualche volta lo vedevo nella sala colloqui assieme alla moglie e al figlio, quando finiva l’ora dei colloqui si fermava a parlare con me e mi diceva che non vedeva l’ora di uscire e di stare vicino alla sua famiglia. Dopo qualche tempo, purtroppo, la sua compagna lo ha lasciato e da allora lui è cambiato totalmente. Tagliarsi era diventata per lui una pratica abituale, si stava lasciando andare sempre di più. So che poi le sue condizioni si erano aggravate ulteriormente e i responsabili sanitari avevano deciso di trasferirlo per un periodo in un "manicomio criminale", un posto che non poteva che peggiorare il suo stato mentale. E infatti, quando è tornato indietro non era più lui, non lo riconoscevo più perché era molto dimagrito e prendeva tanti psicofarmaci. Poi so che doveva uscire, ma non gli hanno dato la liberazione anticipata ed era ancora dentro, gli mancava poco ma si vedeva che ogni giorno a livello psicologico peggiorava, e alla fine non ha retto.
Serghei VitaliCosa si poteva fare per salvarlo?Io di questo ragazzo so che, nonostante gli rimanessero da fare solo due o tre mesi di galera, non riusciva ad ottenere nessun affidamento in comunità per il semplice fatto che, come tossicodipendente, ne aveva usufruito una volta ed era andato male, era ricaduto con la droga, credo, e già questo lascia molti dubbi, perché le nuove leggi un’altra possibilità non te la danno, anche se non sei davvero un criminale, ma non riesci a liberarti della droga. C’è da aggiungere poi che il carcere in sé non è ormai più disponibile né attento alle problematiche sociali di un detenuto: voglio dire, a questo ragazzo è morta una sorella, ma dubito che sia stato aiutato, e magari lui risentiva anche psicologicamente di questo. Poi chi lo ha conosciuto ha detto che è stato abbandonato dalla compagna, che il figlio non riusciva più a vederlo, insomma di punto in bianco si è trovato quasi senza alcun supporto esterno e credo che, come lo hanno saputo i detenuti che gli erano successi tutti questi guai, sicuramente anche i medici e tutti gli altri operatori i problemi sia di tossicodipendenza che famigliari di questo ragazzo li conoscevano. Ma c’è stata una attenzione sufficiente verso di lui?Insomma, se io oggi ricevo un telegramma che mi dice che è morto un fratello o qualsiasi altro famigliare, e a me è successo, nessuno, o quasi, se ne preoccupa, mentre ritengo che quello in cui ricevi una notizia tragica sia un momento in cui, nei confronti di una persona detenuta, bisognerebbe avere la massima attenzione, cosi come ci vuole molta attenzione se si viene a conoscenza che c’è stata una frattura nel contesto famigliare con l’abbandono magari della moglie che non ti porta più neanche il bambino a colloquio.Certo poi dobbiamo tenere conto che se un carcere è predisposto per 350 persone e ve ne sono più del doppio, tutto viene a mancare, sia il personale medico, sia il personale psicologico, e anche il lavoro degli operatori diventa problematico con dei turni magari insopportabili, agenti che vanno sotto stress, e quindi lo stato di attenzione su certe manifestazioni di disagio cala vertiginosamente, e può succedere qualcosa di irreparabile.Poi si aggiunge il fatto che anche da parte dei detenuti certe attenzioni nei confronti degli altri calano, perché già devi far fronte ad un sovraffollamento dove in celle da uno ci devi vivere in tre, se poi ti portano in cella un ragazzo che prende psicofarmaci tutto il giorno, lo tieni in cella un giorno o due, ma poi fai il possibile per fargli cambiare cella, perché già sei stressato di tuo e non hai nessunissima voglia di addossarti anche i disastri degli altri. Credo comunque che il problema più grande sia proprio il calo di attenzione nei confronti di ragazzi molto deboli, e che i segnali di questa debolezza si notino più che bene, quindi c’è una responsabilità delle istituzioni in questo. Io poi sento dire: era stato segnalato che stava male. Ma segnalato a chi, come, cosa hanno fatto per salvarlo, cosa si poteva fare? O basta dire "io avevo segnalato" e non c’è più nessuna responsabilità?
http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/07/terzo-suicidio-nella-casa-reclusione-di.html
6 Luglio, 2010 - 12:30
Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/07/terzo-suicidio-nella-casa-reclusione-di.html [3]