
OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone” Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”
Soltanto il 40% dei suicidi avvengono tra i “detenuti comuni”, che sono il 90% della popolazione carceraria
Nel corso dell’anno 37 suicidi su 64 (il 60%) hanno riguardato detenuti in isolamento, alta sicurezza, protetti, etc.
Dopo aver analizzato il rapporto tra frequenza dei suicidi e sovraffollamento delle carceri (allegato 2), abbiamo approfondito lo studio ricercando le possibili relazioni tra il regime detentivo al quale un detenuto è sottoposto e la risoluzione dello stesso di togliersi la vita (allegato 1). Il suicidio di Salvatore Mollo, che si trovava al cosiddetto “carcere duro” (ex art. 41-bis O.P.) è emblematico di un rischio suicidario che aumenta parallelamente all’inasprimento delle limitazioni nella quotidianità della vita carceraria.
Dei 64 suicidi compiuti nel 2010 nelle carceri italiane 26 hanno riguardato persone che si trovavano in reparti e in celle detentive “comuni” (allegato 3): il 90% circa della popolazione carceraria vive in queste sezioni e celle, con la possibilità di relazioni sociali, lavoro, studio, etc., più ampie rispetto al restante 10% dei detenuti.
Il 60% dei suicidi è avvenuto, non casualmente, nei reparti e nelle celle di coloro che hanno minori possibilità di trascorrere la pena costruttivamente, o almeno con la prospettiva di dare un senso alle proprie giornate.
Al regime di 41-bis sono sottoposte poco meno di 700 persone (l’1% della popolazione detenuta), ma contribuisce per quasi il 4% al bilancio dei suicidi; in altre parole chi è al “carcere duro” ha una probabilità 4 volte maggiore di morire suicida rispetto ai detenuti comuni. Anche esaminando periodi di tempo più lunghi, come abbiamo fatto nel libro “In carcere: del suicidio ed altre fughe”, il risultato è il medesimo: nel quinquennio 2004- 2008 i suicidi di detenuti in 41-bis sono stati il 4,86% del totale (allegato 4).
Quest’anno i suicidi in cella di isolamento sono stati 10 (2 nelle cosiddette “celle lisce”, cioè prive di qualsiasi mobile o suppellettile, che vengono utilizzate proprio per cercare di impedire ai detenuti di uccidersi). In termini percentuali sono il 16% del totale, dato un po’ inferiore rispetto agli anni 2004- 2008, quando fu del 26% (allegato 4).
Altre situazioni di disagio marcato si evidenziano nei reparti per “collaboratori” (5 suicidi) e nelle infermerie (5 suicidi), dove spesso vengono spostati i detenuti che hanno ripetutamente messo in atto comportamento autolesionistici o tentati suicidi. Anche i reparti “protetti”, o “precauzionali”, fanno registrare un elevato numero di suicidi: 4, pari al 7% del totale.
Da rimarcare anche i 3 suicidi avvenuti nel “reparto internati” del carcere di Sulmona, la cosiddetta Casa di Lavoro, dove sono rinchiuse persone che hanno scontato per intero la pena ma restano in carcere in quanto sottoposte ad una misura di sicurezza detentiva: internati a tempo indeterminato, finché un’apposita commissione ritiene che non siano più pericolosi per la società. Questa condizione, che in gergo viene chiamata “ergastolo bianco”, è particolarmente alienante, ed ha determinato il 5% di tutti i suicidi, in un gruppo di sole 200 persone, pari allo 0,25% della popolazione detenuta.
I suicidi avvenuti nel 2010, per regime detentivo
26 in Regime “Comune”
10 in Isolamento (2 in cella “lisce”)
5 in Reparto Collaboratori (o ex)
5 in Reparto Infermeria
4 in Reparto “Protetti”
3 in Alta Sicurezza
3 in Grande Sorveglianza
3 in Reparto Internati (Casa di Lavoro)
2 in Reparto Transito - Isolati
2 in Regime di “41-bis”
1 in Reparto Transessuali
Cosa fare? Con l’aiuto di detenuti e operatori penitenziari abbiamo individuato alcune “buone pratiche” miranti alla prevenzione dei suicidi, che secondo noi possono essere utilmente adottate senza dover attendere modifiche normative o altro:
Cosa non fare con un detenuto “a rischio”
non metterlo nella cosiddetta “cella liscia”;
non togliergli tutto quello che potrebbe usare per suicidarsi: se vuole trova lo stesso il modo (Giacomo Attolini, ad esempio, si è impiccato utilizzando la maglietta);
non controllarlo in modo ossessivo;
non minacciare di mandarlo in “osservazione” all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Cosa non fare con tutti i detenuti
non creare “sezioni ghetto”;
non aspettare che chiedano aiuto;
non sottovalutare i tentativi di suicidio e le autolesioni, considerandoli “dimostrativi”;
non applicare sanzioni o punizioni per atti autolesionistici o tentativi di suicidio;
non esprimere un giudizio morale sugli atti autolesionistici o i tentativi di suicidio;
non suggerire (provocatoriamente) di “tagliarsi” per ottenere qualcosa.
Cosa fare
dare attenzione alla persona (Gruppi di attenzione e di ascolto sono presenti in alcune carceri) durante tutto il periodo detentivo, e non solo limitandosi al primo ingresso, o alla fase di accoglienza;
aumentare le possibilità di lavoro e di attività intramurarie;
cercare di credere a quello che le persone detenute dicono, rispetto ai problemi propri o dei compagni;
ridefinire il concetto di rischio suicidario: il suicidio viene spesso visto come una malattia;
migliorare il contesto relazionale all’interno della struttura;
pensare a sostenere l’autore di reato nel rielaborare il reato commesso;
pensare a una mediazione tra l’autore di reato e la sua famiglia;
sostenere la persona detenuta in una sua progettualità;
fare più formazione a tutto il personale.
http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/12/i-regimi-detentivi-piu-duri-causano-un.html
19 Dicembre, 2010 - 18:39
Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/12/i-regimi-detentivi-piu-duri-causano-un.html [4]