
Non è, all'apparenza, un colpo di scena la candidatura al Campidoglio di Nicola Zingaretti. È il tema «delicato» da sempre sulla bocca di tutti, dall'elezione alla provincia di Roma nel 2008, mentre l'aspirante sindaco Rutelli veniva impallinato dagli stessi elettori che invece per lui decretavano un trionfo. È la ragione ufficiosa per cui rinunciò a candidarsi nel Lazio del dopo-Marrazzo al posto della radicale Emma Bonino, nonostante gli appelli del partito e le pressioni di Bersani. Nel frattempo ha continuato a lavorare in provincia e a battersi duramente contro Alemanno.
Ieri Zingaretti l'ha detto: «Alle primarie io ci sarò e farò la mia parte». L'annuncio era nell'aria. La scorsa settimana, quando è fallito il tentativo di «accordicchio» fra le anime commissariate del Pd laziale, è stata comunicata la data delle primarie per il segretario regionale. Lì aveva fatto un 'pre-preannuncio': «Le primarie dovranno essere lo strumento principale anche per la scelta del candidato per il Campidoglio». Ora l'ha ripetuto due volte, la sera di martedì in un convegno, poi di nuovo ieri, per chi se l'era persa: «Bisogna anche lavorare per una grande alleanza che vada ben o ltre il centrosinistra, che comprenda cittadini, associazioni, impresa e tutti quelli che fanno grande lacittà di Roma».
Ma, giura, non è neanche stavolta la candidatura ufficiale: «Per quella ci daremo appuntamento tra qualche mese. Ma credo sia giusto essere chiari e trasparenti nel rapporto con l'elettorato e i cittadini. D'altronde già sono ogni giorno impegnato su Roma e la sua area metropolitana e ringrazio per gli attestati di stima, forse un po' prematuri e generosi».
Alle sue parole, infatti, benché non «ufficiali», sono scattati gli applausi della maggioranza Pd (Marroni, del consiglio comunale, Patané, presidente del partito di Roma) e degli alleati (Peciola e Torricelli di Sel, Maruccio dell'Idv che però chiede prima di parlare del programma).
Ma anche i malumori, com'è ormai rituale in quel partito. Lucio D'Ubaldo, cattolico di rito fioroniano, ha espresso quello della sua area, che non era un segreto: «Si candida? Desiderio legittimo, ma inconciliabile con il quadro politico che va delineandosi dopo l'uscita di scena di Berlusconi. Con le primarie vuole riproporre un'alleanza radical-populista Pd-Idv-Sel. Ma il futuro è altrove». Dove? «Serve una soluzione 'alla Monti' anche per il Campidoglio». Gli fa eco, dall'Api, Riccardo Milana, ex dc e ex Pd: prematura la scelta di Zingaretti, e comunque «il Terzo Polo esprimerà un candidato aprendo alla società, in sintonia col nuovo corso avviato nella politica nazionale». Un «Monti de' noantri», insomma, anche per i centristi.
Fin qui quelli che parlano. Sono quelli che non parlano in realtà a preoccupare Zingaretti, e ad averlo spinto ad accelerare i tempi della 'discesa in campo'.
Nelle ultime settimane si sono rinfittiti i boatos sulla sua possibile candidatura in un'eventuale congresso del Pd, al posto di Bersani. Parallelamente si è segnalato un lavorio di parte veltroniana per un possibile candidato alternativo al Campidoglio. Sarebbe stato sondato l'attuale ministro Andrea Riccardi, che avrebbe declinato. Sul Foglio si è parlato persino dell'ex direttrice dell'Unità Concita De Gregorio. «Conosco bene la lealtà di Walter, non ci credo assolutamente», è stata la reazione del consigliere regionale Enzo Foschi, molto vicino a Bersani ma ancor più a Zingaretti. «Niente di personale, ma dopo tutti i precedenti con giornalisti come Badaloni, Marrazzo, Gruber, Santoro, Sassoli - tutte persone stimabili e degnissime - una volta che abbiamo un leader autorevole e popolare sarebbe da pazzi iniziare a logorarlo». Da pazzi, o da democratici in dissenso. Ma intanto Zingaretti ha avviato le macchine per la riconquista del Campiglio.
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