
Le elezioni amministrative di domenica scorsa rappresentano un punto di svolta per la Spagna meno scontato di quello che può apparire. La bocciatura di Zapatero e dello zapaterismo - sconfitto anche a Barcellona - si chiama crisi, mancata ripresa, disoccupazione galoppante. Il leader socialista spagnolo, che aveva preso un Paese in corsa dopo i governi del socialista Felipe Gonzales e del popolare José MariaAznar, e lo aveva condotto con coraggio su una strada riformista e modernizzatrice, non ha pagato per aver aperto una società secolarizzata, per i suoi scontri al calor bianco con la Chiesa, per aver aperto ai matrimoni gay. Ha pagato davanti a un Paese messo in ginocchio dalla disoccupazione. I senza lavoro in Spagna hanno superato il 21% della popolazione attiva, mentre tra i giovani con meno di 25 anni la percentuale sale al 44 per cento. Un giovane su due in Spagna è senza lavoro. Gli indignados, che hanno riempito le piazze in questi giorni sono giovani alla ricerca di un barlume di speranza per il futuro: riforme, produzione, crescita, lavoro. Una scommessa che tutti i governi d'Europa devono vincere per portare i loro Paesi definitivamente fuori dalla crisi.
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