
La Cina non si fida dell'andamento dell'economia globale e tenta stavolta, diversamente che nel 2008, di non farsi sorprendere dalla crisi e muoversi per prima e da sola, mentre si addensano nubi sempre più minacciose sulle sorti dell'euro.
Il taglio di un quarto di percentuale dei tassi di interesse primari non è tanto significativo di per sé ma è molto importante che ciò avvenga ad appena una settimana dall'annuncio di un programma di stimolo economico di due miliardi di yuan (circa 250 milioni di euro).
Ciò indica che i segnali ricevuti in questi giorni dalle autorità monetarie cinesi continuano a non essere incoraggianti e che Pechino ritiene di dovere intervenire in maniera più allargata su tutta l'economia.
Domani la Cina annuncerà una serie di dati sul suo andamento economico che, alla luce della decisione di ieri, potrebbero essere molto negativi.
Già i dati dell'inflazione (scesa al 3,4 per cento ad aprile rispetto al 3,6 di marzo, mossa proprio da un calo dei prezzi alimentari) indicano un rallentamento significativo dell'andamento del mercato, che potrebbe essere moltiplicato da una crisi dell'euro.
La prima manovra, quella dei giorni scorsi, era stata pensata come un intervento di "qualità". Si trattava di un pacchetto mirato a stimolare i consumi laddove sono più deboli, nelle campagne, e migliorare l'erogazione del credito verso i privati, da sempre grande motore dell'economia cinese.
Queste misure dovrebbero avere l'ulteriore effetto positivo di contribuire a limitare l'ondata migratoria dalle campagne alle città e quindi limitare la pressione sociale di eventuali disoccupati e sotto occupati urbani.
Inoltre, maggiori crediti alle imprese private comportano creazione di nuovi posti di lavoro nelle città, visto che le grandi imprese di Stato ne creano pochi.
Ma tali scelte possono avere un effetto nel medio lungo termine mentre la pressione della quotidianità sembra avanzare più velocemente del previsto.
Questo è la prima riduzione del tasso di interessi dal dicembre 2008, quando la banca centrale intervenne dopo il crollo di Wall Street con taglio del costo del denaro e massicce iniezioni di fondi.
Da allora Pechino ha rialzato i tassi ben cinque volte per drenare liquidità in eccesso che aveva creato varie bolle speculative in particolar modo nel settore delle costruzioni.
Dopo le misure mirate dei giorni scorsi Pechino pensa evidentemente che lo stimolo debba essere più generalizzato. Infatti, si sta creando un consenso tra gli economisti di Pechino che la Grecia sarà abbandonata al suo destino e uscirà dall'euro. Insieme ad essa potrebbe cadere anche la Spagna e forse anche l'Italia.
Le conseguenze globali di tali scelte sono imprevedibili per Pechino. Gli stessi economisti nel 2007, alla vigilia del crollo americano, si erano convinti che la crisi dei subprime non sarebbe stata drammatica. Stavolta l'errore del passato induce a maggiori prudenze.
C'è una crescente sfiducia sulle sorti della moneta europea. Dopo che la crisi greca si è trascinata per oltre due anni Pechino non vede ancora una decisa volontà politica di uscirne. La crisi, infatti, vista dalla Cina è politica: i grandi Paesi europei dovrebbero decidere di prendersi responsabilità collettive per i debiti devolvendo parte dei loro poteri nazionali sul fisco a Bruxelles. Ciò non avviene perché chi dovrebbe pagare il conto, la Germania, non si fida né di governare i Paesi morosi né della loro affidabilità.
Se la Germania non si fida di altri Paesi europei con cui è consociata, come fa a fidarsi la Cina di una situazione così incerta? Pechino quindi si prepara al peggio.
Si tratta di stimolare allora tutta l'economia interna prima ancora che crollino le esportazioni verso l'Europa, e concentrare gli investimenti sulla Cina anziché verso buoni del tesoro stranieri, che rischiano di essere denaro buttato in un pozzo senza fondo. La speranza è invece che uno stimolo all'economia cinese poi serva anche da incentivo alla crescita globale, come è accaduto già nel 2009 e 2010, anni più bui della crisi, quando la Cina generò circa il 50% della crescita economica globale.
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