
I navigatori su Internet vivono un tempo comune, unitario, da qualunque punto del mondo siano connessi. Sono assolutamente contemporanei tra loro".
Nulla di nuovo, tutto perfino scontato nella osservazione che ascolto dal fondo di una sala congressi di Tunisi. Fuori della sua aria condizionata, il calore africano si dilata sotto un cielo che sembra dipinto come una mattonella di décor islamico. La sala è anonima quanto può esserlo una sala congressi, in qualunque punto del mondo: assieme all'aeroporto e al supermarket non è, la sala congressi, una delle strutture tipiche e fondanti della civiltà dei "non luoghi", quella sorta di contemporaneità culturale che, come ci racconta Marc Augé, si spalma ormai su ogni angolo del globo?
Per scontato che sia, questo tempo unico, unitario, che oggi viviamo nella sua pienezza trionfante grazie al Web e alle sue ramificazioni, viene visto con allarme, da autorità costituite che non riescono a intercettarlo, a bloccarlo, così come non riescono a bloccare le droghe, le vere e le leggere: è un tempo pericoloso, infetto e infettante, veicolo di insorgenze e rivolte. Forse, già di una rivoluzione antropologica che tende a delegittimare del tutto autorità fino a ieri temute se non rispettate. Ne parliamo molto, durante i tre giorni di questo Consiglio generale del Partito radicale transnazionale e transpartitico. Cerchiamo di capirne le caratteristiche.
Ma, forse, meglio di noi ne ha azzeccato le specificità un giornale francofono locale che sfoglio tra un intervento e l'altro. In un articolo, ci si chiede cosa vi sia di "islamico" nella "nahda", il movimento di Rinascita - o Rinascimento - che sembra ispirare la rivoluzione tunisina da cui ha preso inizio la primavera araba. La nahda, secondo l'articolista della Presse, si oppone a tutti quegli articoli di fede che siano "globalement axés sur une conception di pouvoir politique e de l'Etat islamique", cioè fondata su elementi culturali e religiosi obbligati e indiscutibili, come la umma, la sharia, la negazione delle libertà individuali alle donne, il divieto di consumo di alcool, la "mixité" (cioè, credo, la promiscuità dei sessi), ecc. Non ricordo una elencazione più corretta dei temi propri alla laicità globale e globalizzata come la concepiamo, dopo un paio di secoli di illuminismo, noi europei. I promotori e seguaci della nahda (che - apprendo - ha una nascita lantana nel tempo) non hanno paura di esser visti come filoccidentali. E, via Web, quell'occidente che da noi appare stanco e in crisi trasmette loro, intatti, i suoi valori, in tempo reale e in contemporaneità con ogni punto della terra. Non so quanto la Presse possa rappresentare l'opinione pubblica tunisina, ma la città ha almeno l'apparenza di condividerne le tesi di fondo: nei vicoli della Medina, l'immenso suq al centro di Tunisi, un artigiano incide e bulina piatti di rame, destinati non solo ai turisti. Li lavora con una tecnica millenaria, ma sui piatti scalpella la bandiera libica e la scritta "Free Libya". Me li mostra con occhi brillanti, pieni di entusiasmo.
Tempo orizzontale e tempo verticale
Anche tra questi vicoli, inaspettatamente, il tempo "orizzontale" di Internet, la sua virtuale contemporaneità, si oppone al tempo "verticale" della storia, rivolto al passato.
Ma cosa si potrà trovare, in questo passato? Nel suo fondo oscuro può esservi la grande storia di un Braudel e della sua concezione delle civiltà come permanenza stratificata, oppure anche, però, la semplice tradizione, le trite consuetudini. Magari il folclore. Temo che i fondamentalisti di ogni colore invochino il tempo passato, affondino nel tempo verticale, per cercarvi non tanto la storia quanto invece tradizione e consuetudini, immobilizzate e pietrificate. In questo fondo oscuro possono aggrovigliarsi addirittura le radici della tragedia di Norvegia o di qualunque altro terrorismo (anzi, si può correttamente dire che il terrorismo si nutre abbondantemente di quelle radici).
La tradizione è un deposito vivente quando la si faccia vivere, non quando solamente la si invoca. E il punto di partenza necessario per l'operazione rivitalizzante è l'accettazione del presente, come dimensione prima ancora che nei contenuti: oggi non si trasmette più il sapere, o la sapienza, dei padri, ogni dieci anni (e forse meno) i parametri del sapere mutano, spesso imprevedibilmente. In un garage californiano, solo ieri è nato Google, domani chissà quale altra diavoleria (?) potrà vedere la luce in un hangar del Mali o dell'Azerbaigian. E a frugare tra lo scatolame e i robivecchi per tirarne fuori l'invenzione fatale sono i giovani. Ignari del passato, perché innanzitutto non gli serve. La tecnica millenaria serve solo per bulinare sul rame l'appello alla libertà: una parola fino a ieri, qui, assurda, inconcepibile, proibita. La libertà, una risorsa eminentemente laica quando si vuole che sia leggibile, e invece riconoscibile a fatica se filtrata tra le maglie di una logica fideistica. La libertà è laica, semplicemente. Perché, chi può, in questo immenso contesto globalizzato, garantire quale possa essere la "sana laicità"?
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