
Eugenio Scalfari nel suo editoriale di ieri ha illuminato la faglia tellurica che si è aperta, sovrapponendosi alle precedenti spaccature, e che ora mette in forse i presupposti indispensabili della convivenza democratica.
Se il discorso di Bonn è stato l´avvio di una nuova partita, l´aggressione subita dal premier ha fatto intendere a tutti come sia indispensabile, in un contesto come quello della nostra storia recente, mantenere il confronto anche asperrimo, pur sempre al di qua del limite dell´odio personale, delle pretestuose chiamate di correo, dell´insulto delegittimante. Questa premessa per spiegare perché, riprendendo «linea di confine», non la dedichi come d´abitudine ad argomenti «laterali» (salute, scuola, ecc.) ma al punto centrale dello scontro. Mi preme nell´animo, infatti, aggiungere subito qualcosa all´intuizione di Scalfari che afferma: «Il centro dello scontro... sarà sullo smantellamento della Costituzione. Sul passaggio dallo Stato di diritto allo Stato autoritario». Fino a ieri, infatti, come ho già cercato di spiegare (su «Repubblica» di giovedì) ci trovavamo in presenza di progetti di riforma costituzionale, anche approvabili a maggioranza su punti ostici alla minoranza (separazione delle carriere, regionalismo di stampo leghista, persino l´introduzione del presidenzialismo, ecc.) ma, pur tuttavia non eversivi in linea di principio dei valori liberali, di equilibrio e indipendenza fra i poteri istituzionali - l´Esecutivo, il Legislativo, il Giudiziario, il Capo dello Stato, l´organo di verifica costituzionale; ed anche quello che è chiamato, non a caso, il «quarto potere»: la libera informazione. Ebbene proprio questo è stato ribaltato dal discorso di Bonn, ribadito, come nota Scalfari, dall´intervento successivo all´incidente milanese dal coordinatore del Pdl, Denis Verdini.
Il nucleo esplosivo dell´assunto che si propone di ribaltare l´impianto costituzional-liberale sta nel dare peso assoluto e prioritario al consenso popolare rilasciato al premier e alla maggioranza, tramite il voto elettorale. Il tema è l´asse portante del pensiero leghista, fatto proprio da Berlusconi, ma questo poco importa. Quel che osta è l´erroneità storica e di principio della premessa. Il consenso elettorale è indispensabile ma non bastevole a salvaguardare democrazia e libertà. Ce lo insegna la Storia: i paragoni col fascismo, nazismo, comunismo sono privi di senso, spesso assurdi.
Nessuno in Occidente può aspirare al ritorno del terrore di Stato, dei tribunali speciali, degli oppositori in galera, ancor meno di gulag e lager, o addirittura al riemergere del nazionalismo guerrafondaio. Ma, riaffermato ciò, bisogna rammentare che un richiamo ideologico fondativo degli Stati totalitari rischia oggi di tornare, fascinoso come negli anni Trenta per grandi masse di europei impauriti dalla mondializzazione: quello del valore assoluto e prioritario del consenso popolare come base di un governo della cosa pubblica ordinato, armonioso, gerarchicamente disposto, permeato non dal terrore poliziesco, ma dal verbo televisivo così come è formulato dai capi.
Chi ha vissuto il secolo dei totalitarismi sa bene che quei regimi godettero per decenni di un autentico consenso di massa. Le piccole minoranze dell´opposizione erano considerate eversive, arretrate di fronte alle esigenze nuove e, soprattutto, antinazionali. Anche se si fosse votato legalmente i risultati avrebbero corrisposto ai consensi di piazza. Solo la rovina finale aprì gli occhi ai più. Oggi sappiamo a cosa porta la dittatura della maggioranza, anche legalmente sancita dalle elezioni, se viene sovrapposta ad ogni valore liberale e ad ogni equilibrio di garanzia. Non è un caso che l´idea sia maturata in un governo che non è più di centro-destra ma, dopo l´uscita dell´Udc e la presa di distanza di Fini, totalmente di destra. Forse, però, esiste ancora uno spazio di ripensamento ragionevole. Facciamocene tutti carico.
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