
Siamo qui ad esultare per il passo compiuto da un Paese, l'Arabia Saudita, che è caro all'Occidente per le sue immense ricchezze petrolifere, ma che dovrebbe essere costantemente punito per l'assoluta mancanza di rispetto per i diritti umani. Eppure, oggi siamo qui a dire «evviva!» perché finalmente, dopo anni di battaglie, di appelli, di pressioni, di inaccettabili umiliazioni e di feroci punizioni, le donne hanno conquistato due diritti: quello di votare e quindi di essere elette non alle prossime, ma alla successive elezioni municipali; e quello di poter accedere al Consiglio consultivo della Shura, organo fondamentale dell'Islam sannita.
È un passo al quale la monarchia più conservatrice del mondo è stata costretta. Non certo perché folgorata dalla necessità di riconoscere e correggere i propri errori, ma perché l'onda lunga delle «primavere arabe» l'ha lambita, toccata, penetrata, e poi invasa con silenziose iniezioni di quel dolce elisir che si chiama libertà. Un'aspirazione più che legittima che i vertici del potere saudita hanno sempre considerato un veleno letale.
H re Abdullah non è un rivoluzionario e neppure un convinto riformatore, ma non è di sicuro uno sciocco. Ha il pregio - ci dicono - di saper ascoltare i suoi consiglieri più attenti e avvertiti. E soprattutto ha compreso quanto le rivolte arabe abbiano intaccato anche le fondamenta del suo Paese. Internet e i social network sono diventati patrimonio delle donne saudite che, pur non dovendosi esporre con manifestazioni di piazza, possono far sentire sul web la loro voce e la forza dei loro diritti. Tessendo una rete di amicizie e di complicità che nessun fustigatore dei costumi sarà mai in grado di censurare.
L'Arabia Saudita, protettrice del piccolo Bahrein, ha già sperimentato il violento impatto delle rivolte arabe. Ora vuol correre ai ripari. A noi può sembrare che quanto è stato. deciso dal re sia poco: ma per la storia di Riad è una svolta davvero epocale.
© 2011 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati