
«Siamo militari. Siamo italiani. Dobbiamo soffrire con dignità». Eccoli i marò. I volti scavati, commossi, accolgono con emozione la delegazione multipartisan: le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, con esponenti di tutti i gruppi, giunti a New Delhi, per portare loro il sostegno dell’Italia e per «internazionalizzare» questo caso, minacciando di fronte a 28 ambasciatori Ue e a quello Usa di «riconsiderare, se ignorati, il nostro ruolo nelle missioni di pace». Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non smettono di ringraziare, mentre mostrano i loro alloggi nel compound dell’Ambasciata italiana, dove vivono, lavorano e svolgono attività fisica (per poter «tornare a svolgere il servizio di prima»). Chiedono una cosa sola: che non venga tolto loro l’onore. A rischio, da quel 15 febbraio 2012, quando in una missione antipirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie, spararono colpi di avvertimento verso un barcone sospetto e furono accusati di aver ucciso due pescatori. Lo dicono con occhi velati: «Ci auguriamo di tornare in Italia con onore». Invece per loro si evoca la pena di morte, in un’India alla vigilia di elezioni difficili, dove persino i nostri due fucilieri possono sottrarre consenso al Partito del Congresso in crisi.
Fornendo un’arma di propaganda agli avversari dell’italiana Sonia Gandhi e di suo figlio Rahul: delfino privo della grinta di sua nonna Indira e di suo padre Rajiv. Il 3 febbraio il governo, diviso sulla loro sorte, dovrebbe formulare l’imputazione attesa da due anni. Omicidio, come stabilisce la legge ordinaria e sostiene il ministro degli Esteri. O atto di terrorismo, come prevede il Sua Act, istituito dopo gli attentati di Mumbai, e come vorrebbe il ministro dell’Interno che ha affidato il caso alla National Investigation Agency. «Attendiamo con i piedi per terra», dicono i marò, che non vogliono parlare di quel giorno. «Poi valuteremo assieme a un team legale, istituzionale e di governo». Timori per la pena di morte? «Prima di pensare bisogna risolvere le cose. E’ molto importante per noi vedere questa commissione che parte unita dall’Italia per venire qui». Risolverà? L’intenzione, questa volta, è seria. Anche da parte di chi ammette pasticci e ritardi. «Questa situazione non potrà più essere messa ai margini da chi ha mostrato insufficiente sensibilità - dice il Pd Nicola Latorre -. Anche perché siamo convinti che sono innocenti. Quindi non c’è alcuna ragione che restino qui». «Un’accusa di terrorismo sarebbe una barbarie e la considereremmo un attacco all’Italia», rincara Fabrizio Cicchitto dell Ncd. «Il ministero degli Esteri ha lavorato incessantemente, noi ci siamo mossi quando sollecitati. Che i marò ci abbiano ringraziato per averlo fatto insieme ci riempie di gioia», aggiunge Pier Ferdinando Casini, cedendo il posto al Cinquestelle Daniele Del Grosso. Lui rivendica: «Noi M5S abbiamo fatto il primo discorso sui marò. Abbiamo aspettato a venire perché ci siamo fidati dell’inviato del governo, Staffan de Mistura. Ora siamo contenti che tutti ci abbiano seguito in questa iniziativa, ma aspettiamo fatti concreti». Ce ne saranno?
Per ora le autorità indiane mostrano noncuranza. Secondo i media «si sono infilate in un pasticcio da cui è difficile uscire» senza scontentare gli elettori o sfidare la comunità internazionale. «Le regole d’ingaggio devono essere chiare, abbiamo 6 mila militari in missione che non sanno più come comportarsi», avverte l’ex generale Domenico Rossi di Scelta civica. «Erano militari, in servizio su una nave battente bandiera italiana in acque internazionali, comunque sia andata non possono essere accusati di terrorismo», fa notare Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia, partito che chiede le dimissioni del ministro degli Esteri, Emma Bonino. Lei reagisce ed evidenzia: «Chi ora si agita è all’origine del caso, avendo fatto passare la legge La Russa che prevede militari su navi civili senza chiare indicazioni sulla catena di comando. Noi radicali votammo contro». Maurizio Gasparri (Fi) contro replica: «Per i marò il ministro Bollino ha fatto pochino. Dal suo know how radicale, transnazionale e gandhiano, ci saremmo aspettati di più». E su Facebook chiede impegno anche al presidente Giorgio Napolitano
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