
Sono giorni che con i suoi consiglieri e con gli amici di sempre guarda e riguarda e analizza i video dei discorsi e delle interviste di Paul Ryan. Lo fa con il puntiglio di un campione che studia alla moviola tattica e strategia dell’avversario alla vigilia del match per un titolo mondiale. Nel frattempo ha divorato Young Guns. The Next Generation of American Leaders, il libro che Ryan ha scritto con due giovani esponenti repubblicani, in ascesa come lui, Eric Cantor e Kevin McCarthy. In un albergo di Wilmington, nel Delaware, il suo stato, il più piccolo dell’Unione, lo stesso hotel dove quattro anni si preparò per il dibattito contro Sarah Palin, Biden si scontra con un Ryan impersonato da Chris Van Hollen, deputato del Maryland. Ha già provato tre duelli, nei giorni scorsi, altri sono in programma, sotto la vigile sorveglianza di David Axelrod, senior strategist di Obama, e di vecchi collaboratori di cui si fida ciecamente come Mike Donilon, Ted Kaufman e Ron Klain.
Si sta allenando intensamente, Joe Biden, in vista dell’esame della sua vita, una vita di settant’anni, trentasei dei quali trascorsi al senato, ai massimi livelli, più quattro come vice di Barack Obama, inframmezzati da due “corse” nelle primarie presidenziali. Questa volta Joe Robinette Biden gioca mettendo in ballo la sua sorte. E quella del presidente. Il duello di domani a Danville, nel Kentucky ha assunto un rilievo decisivo, dopo l’opaca prova di Obama, che ha consentito a Romney di risalire pericolosamente nei sondaggi. Una riuscita performance di Biden può consentire al presidente di riprendere quota, così come un insuccesso rischia di compromettere le chance di Obama nei prossimi dibattiti e più in generale nella convulsa parte finale della campagna elettorale.
Ma il primo rischio è proprio nel sovraccarico di aspettative per il duello di domani. Biden è un politico consumato, un formidabile polemista, incline alla battuta fulminante e per questo al passo falso facile, tanto che c’è ormai un’antologia di sue gaffe celebri, alcune delle quali hanno fatto sorridere, altre molto meno nello Studio ovale della Casa Bianca, altre ancora hanno mandato in bestia il mite presidente, come la sua dichiarazione a favore del matrimonio gay, prima che ne parlasse Obama.
Il guaio è che, proprio perché si sente investito della “rivincita” rispetto alla “sconfitta” di Obama, il combattivo Joe, il politico che sa parlare alle viscere degli elettori, potrebbe caricarsi al massimo, essere tentato di attaccare l’avversario sui temi polemici stranamente elusi da Obama nel confronto con Romney ed esporsi così al pericolo dell’uscita infelice o troppo sopra le righe. Nei programmi satirici, come Saturday Night Live, ancor prima del duello, è partito il tormentone sul vecchio leone del Delaware: cosa c’è di più eccitante di Joe Biden che pensa tocchi a lui riprendere la testa della corsa? Scommettiamo che alla fine del dibattito lo vediamo con la camicia di fuori, e intanto si starà spalmando di grasso animale per sfuggire alla presa.
Ma Biden non è solo il politico impulsivo che piace ai comedians e agli avversari, che strumentalizzano le sue gaffe. Non è solo il cagnaccio, l’attack dog, parte peraltro che gli spetta nella campagna elettorale, tipica divisione dei compiti tra il presidente, l’agente buono, e il suo vice, lo sbirro cattivo. È un professionista di lungo corso, Biden, che ha dimestichezza come pochi altri a Washington con la politica internazionale, temi che il suo giovane avversario non conosce affatto. Quando parla alla classe operaia, “il ragazzo di Scranton” ha l’autenticità di chi proviene da lì. E piace proprio per questo, per la sua genuinità non intaccata da una vita trascorsa nella capitale.
In questo Ryan, che nasce quando Biden diventa senatore, gli somiglia. I due vice, entrambi cattolici e irlandesi, con il loro temperamento, con i loro piedi per terra, bilanciano i loro boss e le loro camicie button down, uno professorale, l’altro manageriale, entrambi distanti dai Joe e dalle Jane che faticano ad arrivare a fine mese. E anche Ryan, come Biden, sente tutto il peso della sfida di domani. Proprio perché Romney è andato bene, “ha alzato l’asticella”, dice lo stesso Ryan, che non risparmia complimenti al suo avversario democratico nell’evidente sforzo di abbassare le attese rispetto al duello.
«Joe Biden – dice la portavoce di Ryan, Brendan Buck – è da oltre quarant’anni in attività, ci sono poche persone con più esperienza di Joe Biden nel dibattere le questioni al centro della discussione politica, e peranto stiamo prendendo molto seriamente questo processo». Premessa per presentare Ted Olson, avvocato, nell’amministrazione Bush, uno dei cento uomini più influenti d’America «il tipo di avversario ideale per prepararare l’onorevole Ryan al confronto con Biden».
Giocherà sull’età, Ryan? Tema sollevato una sola volta, preventivamente, da Reagan in uno dei dibattiti contro il cinquantaseienne Walter Fritz Mondale nel 1984: «Non sfrutterò, per motivi politici, la gioventù e l’inesperienza del mio avversario politico».
Si sa come andò. Vinse Reagan, 73 anni.
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